Alla fine di dicembre 2021 un fondo ETF di una grande casa, specializzato sulle aziende “verdi” e “sostenibili” collocate sui mercati emergenti, ha perso in una sola notte il 91% del valore. Il crollo ha fatto notizia. Non è però difficile spiegare quel crollo. Meno intuitiva è invece la logica generale che governa gli investimenti in ETF.
Immaginate che Tizio, Caio e Sempronio abbiano un bene, poniamo un albergo, che vale 9 milioni. Se Tizio vende la sua quota, le altre due quote continuano a valere 6 milioni, solo che c’è un nuovo socio oltre a Caio e Sempronio. In altre parole il valore della quota di Tizio era indipendente da quello delle altre due. Come mai le cose non funzionano così con un ETF? Perché tutto l’ETF ha perso il 91%? Compresa la quota residuale di chi non aveva venduto?
L’ETF del crollo aveva un AUM (il totale cioè dei fondi allocati dagli investitori in quell’ETF) ridotto, inferiore al miliardo di dollari statunitensi. Un fondo pensione scandinavo, da solo, costituiva più del 90% dell’AUM del minuscolo. Quando gli scandinavi decisero di ritirare i loro soldi dal fondo, questo crollò e l’AUM si ridusse a 69 milioni di dollari.
Infatti nell’algoritmo che fissa la quotazione di un ETF sono incluse tutte le entrate e le uscite, proprio come succede con una singola azione quotata in borsa perché un ETF è in buona sostanza l’aggregato di molte azioni di borsa a loro volta governate dalla legge della domanda/offerta. Il destino di ciascuno è interconnesso con il destino degli altri. Di conseguenza gli sfortunati, meglio incauti, investitori restanti, sottratta la quota degli scandinavi, subirono una forte perdita.
Per questo motivo ho sempre detto: se comprate ETF, prendete l’ETF più trattato della società più grande del mondo che li distribuisce, e che possibilmente non sia specializzato ma general generico, al limite mondiale. Questa è la logica della sottrazione delle scelte. Se derogate da questa logica, tradite lo spirito degli ETF, anche se nominalmente sempre un ETF comprate (ma in finanza i nomi spesso ingannano: pensate al cosiddetto “premio al rischio” che in realtà è un premio all’incertezza se non alla paura).
Questo calo del 91% in una notte è stato un episodio di cronaca finanziaria minore che però, come tutti i casi limite, permette una riflessione di più ampio respiro non solo sugli ETF ma anche sulla strategia da adottare negli investimenti e sulla storia delle innovazioni nelle strategie di investimento.
Per più di un secolo, prima della nascita dei computer, un bravo investitore o gestore dei soldi altrui cercava di comporre un portafoglio con i titoli più promettenti. Poteva azzeccare la scelta oppure sbagliarla e il risultato finale dipendeva dal rapporto tra scelte azzeccate e scelte rivelatesi improduttive.
Meglio: da quanto restava dopo aver sottratto il risultato delle scelte cattive da quello delle scelte buone. Famosi sono i resoconti dei loro investimenti da parte di personaggi come John Maynard Keynes, che era responsabile durante gli anni Trenta degli investimenti del suo College di Cambridge e che rivoluzionò la teoria economica, e, ancora prima, del grande fisico Isacco Newton a cui dobbiamo la fisica moderna e la legge di gravitazione universale.
Poi venne Turing e nacquero i computer rendendo possibili calcoli in tempo reale prima ineseguibili anzi, inconcepibili.
Poi venne John Clifton Bogle, un genio nel suo campo che ebbe l’idea nel 1975 di creare un Index Fund, aprendo così la possibilità di investire su tutto un mercato, inizialmente quello più grande del mondo, e cioè quello americano. Nessuno sceglieva nulla, facevano tutto i computer e quindi i costi di gestione erano quasi nulli (a fronte in Italia di un costo medio del 2% annuo che, cumulandosi sui tempi lunghi, fa molta differenza sul rendimento finale: provate a fare il calcolo con i vostri risparmi).
La logica dietro questa invenzione è semplice: invece di fare meglio degli altri, scegliete di allinearvi con i risultati della media ponderata delle scelte di tutti gli altri. Eviterete così gli errori derivanti dal fare in modo diverso da quello che ha fatto la maggioranza nel suo complesso, visto che i mercati funzionano come il concorso di bellezza di Keynesiana memoria (cfr. la storia in rete se non la conoscete).
In sintesi si trattava di sottrarre errori invece di cercare di aggiungere successi. Si tratta indubbiamente di una strategia molto contro-intuitiva, non solo in questo ma anche in molti altri ambiti, come cercherò di mostrare nel mio libro sulla sottrazione che uscirà in marzo da Raffaello Cortina Editore.
Per centinaia di migliaia di anni abbiamo cercato di renderci meno vulnerabili cumulando risorse, cioè per addizioni successive. Lavorare sulla sottrazione delle scelte non è spontaneo né facilmente comprensibile. Eppure è questo che, magari inconsapevolmente, fate se oggi comprate l’indice riassuntivo di tutti i mercati azionari di tutto il mondo, oppure l’indice del mercato statunitense (correlato assai con il precedente dato il suo peso preponderante sui mercati mondiali).
Quello che fate, in buona sostanza, è sottrarre le possibilità di errore invece di cercare di battere tutto il resto del mondo facendo meglio di lui. A ben pensarci, quest’ultima è impresa ardua. E, in effetti, oggi sappiamo che solo una minoranza di gestori riesce in questa impresa difficile. Una ancor più piccola minoranza se considerate non la categoria dei gestori di successo nella sua totalità ma i risultati, anno dopo anno e gestore per gestore: un solo contro tutti. Uno alla volta perché le strategie di un gestore per un certo tempo vanno bene e poi vanno male.
Questo è il motivo per cui un tempo veniva fatta una diversificazione artigianale. Oggi la si può fare in modo “scientifico” grazie ai computer che vi danno in tempo reale il valore di un indice. Il tutto è contro-intuitivo perché sarebbe come andare a mangiare e dormire in tutti i ristoranti o alberghi di Venezia così da avere un pasto/alloggio di gradimento medio invece di cercare i posti migliori.
Proprio per questa evidente “assurdità” dell’analogia, è assai consigliabile avere un consulente dato che sui tempi lunghi gli investimenti sono governati da logiche spesso contrarie a quelle della vita. La strategia sottrattiva è una di queste, forse la più importante e meno spontanea.
Bogle aveva visto lontano. Come osservò Warren Buffett, chiamato l’oracolo di Omaha: “Se gli investitori avessero sempre ascoltato le idee di Bogle, oggi sarebbero molto più ricchi”. In effetti gli indici inventati da Bogle ci misero decenni ad affermarsi proprio perché i più speravano nel meglio e non si accontentavano del soddisfacente.
Oggi però, almeno negli USA, gli indici costituiscono la strategia più adottata, e non è solo quella suggerita da consulenti esperti dato che comincia a penetrare anche nel mondo del “fai da te”, magari da parte di persone impreparate (ed ecco il patatrac da cui siamo partiti in questa storia).
Buffett predicava sempre: “Fare poche scelte e tenerle nel tempo”. Il caso limite di questa strategia consiste nel fare solo la scelta consistente nell’ammettere che è meglio non fare alcuna scelta e aspettare. Certo è assai difficile per il nostro orgoglio e le nostre speranze ammettere a priori di non saper fare meglio della media di tutte le scelte altrui, rappresentate dall’indice delle borse mondiali, e quindi ripiegare sulla sottrazione delle scelte e non sulla loro addizione.
Ora Bogle, che ebbe l’idea e la diffuse con il suo Vanguard Group, è morto (nel 2019, a 89 anni). Ma le sue idee sono più vive che mai. Ed è proprio per la natura di queste idee che vanno non solo contro il senso comune ma anche contro il diffuso buon senso, che ci vogliono e ci vorranno sempre i consulenti: il mondo degli investimenti non solo è fatto di idee nuove, come quelle di Bogle, ma anche di idee del tutto contro-intuitive.
Anche il modello della gravitazione universale ideato da Newton, è una forma di sottrazione del complesso per giungere al semplice. Però è ancor oggi un’idea contro-intuitiva non facile da capire e accettare. C’è però una differenza, una profonda e drammatica differenza: le persone sanno di non sapere la fisica, ma credono di sapere come investire i loro risparmi. La più grande e dannosa illusione, almeno nel campo del benessere economico.
Paolo Legrenzi, 6 gennaio 2022