Il mondo sta cambiando: improvvisamente, velocemente, inesorabilmente. Noi non giudichiamo le scelte politiche dei cittadini italiani, le cui opinioni finiscono inevitabilmente per essere influenzate sia dai partiti che ne ricercano il consenso, sia soprattutto dai mass media, che seguono le tendenze intellettuali ed economiche, cadendo spesso nel manicheismo.
È la classe dirigente europea che è chiamata a riflettere sui suoi errori e a rendersi conto che il bel mondo pacifico e solidaristico, totalmente aperto allo sviluppo economico è in grossa parte il risultato di fantasie intellettuali e, soprattutto, al momento è diventato meno sostenibile.
Si è scambiata per nuova normalità una fase storica, successiva alla caduta dell’ex Urss, in cui gli Stati Uniti si sono trovati ad essere l’unica vera superpotenza mondiale e quindi hanno cercato di espandere in tutto il mondo il loro modello di crescita, oltre che l’ideale della democrazia. Se il primo paradigma non ha fatto fatica a diffondersi, perché ogni popolo vuole migliorare la propria condizione economica, il secondo si è scontrato contro la dura realtà rappresentata da resistenze burocratiche, dittature e differenze religiose.
Nel frattempo la Russia si è riorganizzata ed è diventata un’economia più piccola ma più moderna. La Nato si è espansa ben oltre gli impegni solenni presi nel 1999. La Cina ha perseguito nella politica di apertura all’occidente avviata da Deng Xiao Ping, che nei suoi discorsi pareva più un banchiere di Goldman Sachs che non il successore di Mao, continuando a mostrare il sorriso di fronte a chiunque portasse capitale finanziario fresco e nuove conoscenze tecnologiche. Ma poi, con l’avvento di Xi Jinping, ha iniziato a ragionare da superpotenza, anche perché agendo diversamente avrebbe continuato ad essere solo il più grande mercato dell’Occidente.
Gli Stati Uniti, una volta vinta la Guerra Fredda, hanno perso i vantaggi di avere un grande nemico da combattere, ovvero una causa comune, quella militare, che potesse tenere assieme una società molto complessa dal punto di vista sociale. Una volta battuto il nemico comunista, sono cresciute le tensioni sociali interne, anche perché la globalizzazione ha finito per favorire un ristretto numero di grandi società a scapito delle piccole e medie imprese, esattamente come era accaduto a cavallo tra il 19º al 20º secolo al culmine dell’economia coloniale (la storia si ripete, anche quella economica).
Ma l’esplodere delle tensioni interne ed il conseguente indebolimento sociale hanno finito per ripercuotersi anche sull’alta politica, producendo due tra i peggiori presidenti della storia americana: il populista Trump (scambiato per liberista, ma in realtà lassista e troppo disinteressato alla geopolitica) e il demagogo Biden (arrivato alla Casa Bianca troppo tardi anagraficamente e circondato da uno staff composto per la maggiore da personaggi più adatti a un collettivo studentesco che non ai dicasteri più influenti del mondo).
Ora tutti coloro che hanno interesse a mutare l’assetto geopolitico mondiale, ovvero la Russia per riconquistare il terreno perduto dopo la guerra fredda, la Cina per annettersi definitivamente Taiwan (il cui status indipendente poggia solo su un’incongruenza dei trattati) e assumere e rafforzare la sua potenza nel cosiddetto Indo Pacifico, e l’Iran, ormai a un passo dall’arma nucleare (che le servirebbe per diventare la potenza di riferimento del mondo musulmano sciita) sanno che hanno tre anni di tempo per farlo. Poi potrebbe arrivare nuovamente un vero presidente americano.
Per tutti questi motivi noi riteniamo che il periodo bellico iniziato in questo sfortunato 2022 non sia che l’antipasto di un triennio molto complicato, sia politicamente sia finanziariamente. Il mondo occidentale vuole riprendersi dopo i terribili sacrifici imposti dal Covid, le banche centrali vogliono aumentare i tassi di interesse per combattere l’inflazione, ma la ripresa economica inizia inevitabilmente a perdere colpi, soprattutto in Europa, che è la più debole dal punto di vista energetico.
Questo per l’investitore significa dover iniziare a pensare ad un nuovo approccio ai mercati finanziari, con il quale decidere subito se essere trader o investitori, ovvero se puntare a guadagni rapidi e limitati o a partecipare al cambiamento mondiale, oltre che alla crescita. Entrambe le strategie offrono vantaggi e svantaggi, avendo come comune nemico la volatilità, che continuerà ad essere elevata ancora per molto tempo.
Noi non siamo affatto pessimisti sul futuro dell’economia e dei mercati, semplicemente riteniamo che la politica per un certo periodo possa diventare un ostacolo più che un punto di forza per la finanza, dovendo sottoporsi ad un cambiamento importante. Lo stesso dicasi per la globalizzazione: se fino a qualche anno fa l’arrivare lontano con le proprie aziende e le proprie vendite costituiva perlopiù un elemento di forza, adesso costituisce anche un elemento di rischio. Quando il mondo prospera gli investimenti producono guadagni, quando il mondo cambia devono cambiare anche gli investimenti, se vogliono continuare a produrre guadagni.
Massimo Intropido, 10 marzo 2022