A quanti professionisti è capitato il cliente che, dopo qualche tempo dalla sottoscrizione di un determinato prodotto finanziario, si presenta insoddisfatto, preoccupato e financo arrabbiato per la performance non in linea con le attese?
A molti, ne siamo certi.
Se è così, non fatevi prendere dallo scoramento né dalla rabbia: per quanto il cliente vi confermi inizialmente quanto sarà rispettoso delle buone regole di investimento, il suo cervello è programmato per dimenticarsi tutti i bei discorsi sul rispetto dell’orizzonte temporale, sulla pazienza e sulla razionalità con cui muoversi sui mercati.
È l’istinto che lo porta ad essere così: le emozioni vissute in una particolare congiuntura, i ricordi ad esse collegati, determinano azioni spesso dannose sul profilo patrimoniale. Arginare e limitare questi comportamenti non è mai scontato, ma abbiamo un suggerimento molto semplice che sentiamo il dovere di ricordarvi, e che l’evidenza sperimentale ha ripetutamente dimostrato essere efficace.
Si tratta, in sostanza, di comprendere questo: che percezione ha il cliente dei suoi investimenti?
In altre parole, ha investito in qualcosa o per qualcosa?
Non è affatto una differenza semantica, non è un dettaglio: tra le due preposizioni c’è tutta la differenza del mondo. Proviamo a chiarire la questione.
Chi investe in uno specifico fondo comune, titolo, polizza ed alternative similari, vede solo la scatola finanziaria. Limita la sua valutazione al prodotto in sé, esprime un giudizio sulla base di quanto quella soluzione avrà risposto alle sue aspettative di rendimento: insomma, si fermerà come sempre al tasso. Di conseguenza, congiunture negative di mercato generano decisioni emotive e compromettono la buona riuscita dell’investimento.
Diversamente detto: chi investe in qualcosa, perde di vista il punto di arrivo.
Al contrario, chi investe per qualcosa mette a fuoco l’obiettivo per il quale sta compiendo una precisa scelta finanziaria. Se così è, le ineliminabili e cicliche fasi di alternanza dei mercati sono percepite solo come fastidi, come turbolenze che non compromettono il traguardo.
Chi investe per qualcosa, ha la barra dritta sull’esigenza che vuole soddisfare. Se qualche mese fa il cliente ha sottoscritto un fondo pensione per integrare in futuro il suo reddito, piuttosto che un piano di accumulo per l’università di suo figlio, la domanda fondamentale alla quale rispondere è la seguente: ne hai ancora bisogno?
Se la risposta – come ampiamente probabile – è affermativa, l’unica cosa da fare è rispettare la strategia e la decisione ponderata che, assieme ad un consulente finanziario, si è presa qualche tempo prima.
Farlo è molto più complicato se ci si sofferma sul contenuto finanziario del prodotto: in tal caso, ci saranno sempre degli ottimi motivi per spaventarsi e non rispettare quanto si è pianificato, per essere sconfitti dalle paure del momento, disattendere la strategia e fare un passo indietro. La guerra commerciale USA-Cina, l’exit strategy dalle politiche monetarie ultra-espansive, lo spread e via discorrendo sono pericoli certi per chi investe in qualcosa. Se si investe per qualcosa, sono poco più che rumore.
Proviamo a dirlo in un altro modo ancora.
Aver a cuore il prodotto, significa patire certamente lo short term bias, tipica distorsione che ci spinge a dare ampio risalto agli accadimenti di breve termine, dimenticandoci del motivo reale e preciso per il quale si è investito rinunciando ad un consumo immediato di quella ricchezza.
Aver a cuore il progetto, significa dar seguito alla convinzione che il denaro altro non è che un mezzo per realizzare qualcosa. C’è infinita evidenza empirica di quanto sia importante definire con precisione un traguardo in ogni ambito della vita, metabolizzare il concetto di “S.M.A.R.T. goals”: obiettivi che siano specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti, fissati nel tempo.
Il problema principale, quando si investe, è sapere perché lo si fa. Non è sufficiente una consapevolezza generica, non basta un “perché non si sa mai”, “per un domani”, “per i figli”.
Occorre quantificare gli importi necessari a soddisfare i bisogni più importanti, occorre bandire la superficialità.
Da questo passa la consulenza e la differenza tra un professionista capace ed un professionista mediocre.
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