Lo abbiamo scritto questa estate. Per lasciare il Colle Sergio Mattarella avrebbe dovuto sciogliere le camere. Lo abbiamo ribadito a dicembre, Mattarella avrebbe detto fino alle fine di no, tranne nel caso in cui i partiti non fossero incorsi un uno stallo politico che avesse messo a rischio il sistema istituzionale ed economico. E lì siamo finiti.
Per comprendere quello che sta accadendo in queste pazze ore quirinalizie occorre riandare con la memoria alla crisi di governo dello scorso anno e a quella dell’estate del Papeete e anche alle ore della formazione del primo governo della legislatura. In tutti e tre quei casi le forze politiche trovarono una via d’uscita dall’avvitamento e dallo schianto al quale erano destinate solo grazie alla sapienza costituzionale e politica del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Oggi no. Oggi sono i leader da soli a dover gestire la scelta del suo successore. Mattarella non può consultare, consigliare, sciogliere la crisi. E si vede. Lo spettacolo che offrono i segretari di partito, come nelle precedenti occasioni, è desolante. Nessuno di loro sembra avere una reale strategia complessiva da perseguire. Ma solo nemici interni ed esterni da sconfiggere, veti da porre, rivincite personali da ottenere.
Non hanno il senso dello stato, ma solo il disperato bisogno di conservare o potenziare il proprio status di leader. Impongono alle loro truppe comportamenti da subordinati: scheda bianca, astensione, candidato di bandiera, candidato per la spallata. Ma i 1009 grandi elettori consapevoli che questa è una delle poche occasioni politiche dove la loro autonomia decisionale ha un valore divergono dalle strategie folli dei segretari.
Hanno ben chiare due esigenze: salvare la legislatura (o la poltrona se volete essere più maligni) e garantire che il governo di unità nazionale prosegua il proprio compito. In quel Mattarella scritto sulla scheda senza l’indicazione e l’autorizzazione dei leader cercano una via autonoma alla salvezza. Personale e del quadro politico e istituzionale dell’Italia.
Alcuni leader hanno tentato di forzare la realtà fattuale pur di trovare un’adesione delle cose alla loro personale visione. La legislatura poteva proseguire solo con l’elezione di un presidente espressione della maggioranza che sorregge il governo Draghi. Per alcuni questa semplice ovvietà politica poteva essere ignorata, accettando di buon grado evidentemente le conseguenze sul governo.
Alcune tendenze politiche però appaiono chiare. Le attuali coalizioni di centrodestra (FdI, Lega, FI, centristi) e centrosinistra (PD, M5S, Leu) escono entrambe da questa settimana lacerate, divise indebolite. Consapevoli che continuare a stare insieme non è più possibile. I partiti alleati in entrambe le coalizioni non condividono una reale strategia politica, una comune visione valoriale.
Il centrodestra è lacerato dall’esigenza di restare unito per affrontare la prossima sfida elettorale e allo stesso tempo di proseguire un dialogo con le altre forze della maggioranza di unità nazionale per proseguire la legislatura. I tentativi di spallata con la proposta Casellati hanno mostrato la totale debolezza della strategia dello sfascio di Meloni e Salvini.
Il centrosinistra è dall’altra parte esasperato dall’ostinato bisogno del PD di continuare a credere nella reale propensione progressista di Giuseppe Conte, nonostante che alla prova dei fatti il leader del M5S appare essere richiamato da quell’abbraccio letale fra Il populismo e il sovranismo, espressione del suo primo governo.
Sullo sfondo la figura di Mario Draghi è rimasta decisiva. Chiamato dodici mesi fa da Mattarella a risolvere una crisi di governo nel pieno della pandemia e della crisi economica, un anno dopo ha assistito al tentativo dei partiti di dimostrare di essere capaci di poter fare politica anche senza di lui. Non eleggerlo presidente della Repubblica era il modo ormai esplicito per alcuni (Salvini e Conte) per sbarazzarsene anche sul piano governativo. Non hanno avuto la forza per farlo. E ora gli chiedono di essere lui l’uomo che richiederà formalmente a Mattarella di restare al Colle, confermandolo alla guida salda del governo di unità nazionale.
Confermato Mattarella nella carica di nuovo presidente della Repubblica i tentativi maldestri di far saltare il governo Draghi non potranno però non avere conseguenze sull’assetto politico e governativo. Alle prossime elezioni politiche, che si svolgano a scadenza naturale è auspicabile che la politica che Mario Draghi ha incarnato diventi anche offerta politica. Contro il populismo, contro il sovranismo che si annidano nelle attuali coalizioni di centrodestra e centrosinistra che hanno dimostrato di essere incapaci di farsi garanti delle Istituzioni repubblicane.
Antonello Barone, 29 gennaio 2022