Economia e LogisticaGeo-Logistica

Suez è un pericolo ma anche un’opportunità per il Mediterraneo allargato

Allarme di Assagenti Genova. Musumeci: “Liberiamoci della questione meridionale”

Mari inquieti e il canale di Suez: Musumeci e Porro

Per cinque anni fra il 1350 e il 1355 genovesi e veneziani si combattono senza esclusione di colpi sul mare per conquistare il controllo sugli stretti che consentono di accedere al Mar Nero. E ciò determina  per decenni il declino della potenza commerciale di Venezia sui mari. 1967-1975: dopo la Guerra dei sei giorni l’Egitto decide la chiusura del Canale di Suez: 15 navi da carico restano intrappolate e il principale collegamento marittimo fra America, Europa e Asia è in black out totale con ripercussioni pesantissime sull’economia mondiale che verranno riassorbite solo dopo decenni.

Sono analogie sconcertanti in un mondo non ancora globale nel quale tuttavia la chiusura di una strettoia, di un choke point, del traffico marittimo poteva avere conseguenze economiche, sociali e geo-politiche.

Ma oggi, con una catena logistica già indebolita e resa fragile dal Covid, il blocco o la chiusura di una delle strettoie del traffico marittimo mondiale (8 sono le principali) potrebbe ottenere effetti devastanti. Sta già in parte accadendo con un Canale di Suez a mezzo servizio che ha sconvolto i tempi degli approvvigionamenti mondiali e che, sommato al black out negli stretti che collegano il Mar Nero al Mediterraneo, potrebbe generare una crisi alimentare globale, a partire dai Paesi del Nord Africa oltre a un shortage negli approvvigionamenti di petrolio.

Suez (e non solo): l’analisi del “Giuseppe Bono”

Questi dati sono emersi in tutta la loro drammaticità oggi a Genova durante il convegno organizzato dalla Associazione agenti marittimi (rivivi qui l’intera registrazione video dell’evento) che ha fatto perno su uno studio commissionato da Assagenti al Centro di analisi Giuseppe Bono e presentato dal vice presidente ammiraglio Sergio Biraghi.

L’analisi parte da un dato ai più sconosciuto: il commercio marittimo mondiale che rappresenta l’80% del trasporto mondiale di materie prime, energia e prodotti finiti, “vale” 14,2 trilioni di dollari. E quasi il 60% di questo commercio transita attraverso strettoie a rischio, come Suez, Panama, lo stretto di Hormuz, lo stretto di Malacca. Colli di bottiglia dai quali dipende anche banalmente la sopravvivenza “alimentare” di interi continenti, come quello africano.

Ecco alcuni esempi:

  • Poco più di un terzo delle importazioni di cereali per il Medio Oriente e il Nord Africa passa attraverso gli Stretti Turchi, senza alcuna rotta marittima alternativa disponibile.
  • Più del 25% delle esportazioni di soia viene spedito attraverso lo Stretto di Malacca.
  • I paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo dipendono dai cereali provenienti dalla regione del Mar Nero che vengono trasportati attraverso i punti di strozzatura delle ferrovie/porti russi e ucraini, gli Stretti Turchi e il Canale di Suez.
  • Il 55% di grano, mais, riso e soia transita attraverso i 13 choke point oggi a rischio (agli 8 si sommano anche quelli relativi al Mar Nero e altre aree del Sud-est asiatico “sotto tiro”): quasi 400 milioni di tonnellate di grano sui 784 milioni di produzione mondiale e circa 390 milioni su 741 milioni di tonnellate di riso prodotto.

Rischio marittimo e rischio globale

Un rischio epocale quindi che incombe anche sulle numerose infrastrutture sui fondali marini, a partire dai cavi attraverso i quali transita una quota crescente del traffico Internet fra Asia ed Europa.

Ma esiste anche un rovescio della medaglia. E lo hanno sottolineato coralmente in particolare il presidente di Federagenti, Alessandro Santi, il presidente di Assagenti Genova, Paolo Pessina e il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, che ha evidenziato come l’Italia, unica nazione europea, abbia oggi la possibilità di recitare un ruolo di protagonista nel processo di reshoring e di reindustrializzazione in atto specie in nord Africa. Processo accelerato proprio dalle difficoltà della lunga catena logistica di produzione industriale che collega l’Europa ai Paesi dell’Estremo oriente.

Come emerso anche dall’intervento del vicecapo di Stato maggiore della Marina militare ammiraglio Berruti Bergotto e dal vice capo del Corpo delle Capitanerie di porto, ammiraglio Liardo, è questo un momento in cui l’Italia per il suo ruolo in Mediterraneo, non si può permettere di abbassare la guardia, affrontando fra l’altro un fenomeno della pirateria che ha ripreso vigore specie nel golfo di Aden.

Ma il suggello decisivo all’urgenza di una politica del mare è stato collocato dal ministro Nello Musumeci, che non ha esitato a sottolineare come la nuova Europa, a meno che non sottovaluti le indicazioni emerse dal recente voto, dovrà obbligatoriamente spostarsi a destra e spostare a sud verso il Mediterraneo il baricentro delle sue attenzioni. E in questa ottica il Piano del mare che l’Italia attraverso il suo ministero si è impegnata a mettere a punto  diventerà un fattore vincente.

Ue ambigua sulla Blue economy

Per Musumeci la politica europea sulla blue economy è stata per 40 anni “infelice e ambigua”. E la politica per il sud ha avuto effetti ancora più disastrosi, ivi compresi “i buoni propositi mai tradotti in realtà” della conferenza di Barcellona.

Affrontando, su sollecitazione di Nicola Porro, il tema dell’autonomia differenziata, Musumeci nel ricordare come proprio regioni di sinistra, come Campania, Puglia e Emilia Romagna l’avessero richiesta con forza per poi ora cambiare opinione, ha affermato che è venuto il momento “di liberarci della questione meridionale”, vera e propria “foglia di fico per mascherare assistenzialismo e negare il dovere a una assunzione di responsabilità da parte delle Regioni meridionali”.

Bruno Dardari, 25 giugno 2024

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