La strategia portata avanti dalla BCE per arginare l’inflazione si sta rivelando poco efficace se si considera la globalità dell’eurozona; soprattutto, nelle stanze dei bottoni di Francoforte ci si ostina a voler copiare le decisioni assunte oltreoceano dimenticando, però, che gli USA hanno sovranità monetaria e sono un’unica nazione anziché una parvenza di unione tra stati apparentemente sovrani.
Infatti, i numeri non mentono mai e confermano che l’inflazione, nella zona euro, non tende a diminuire repentinamente come auspicato, contrariamente a quanto accaduto negli Stati Uniti dove ha raggiunto i minimi degli ultimi due anni, 5%.
Segnale evidente che, negli USA, la politica aggressiva paga.
Non altrettanto accade in Europa con il dato generale al 7% che non è altro se non una media e rappresenta, di fatto, la linea di confine tra le nazioni cosiddette “ricche” (o se preferite con accettabili criticità socioeconomiche e finanziarie) e quelle “povere” o con conti pubblici in tensione e dinamiche sociali che destano allarme.
In Italia l’ultima rilevazione attesta l’inflazione all’8,3%, ovvero in aumento rispetto ai mesi precedenti e nonostante i consecutivi e costanti incrementi dei tassi decisi dalla Banca Centrale Europea; ergo, in Italia, e paesi simili per condizioni economiche e sociali, copiare gli USA non risolve il problema.
Siamo praticamente al raddoppio delle rate dei mutui a tasso variabile senza CAP, e con un sistema bancario i cui attori non remano a favore di quei consumatori che chiedono temporanee sospensioni del pagamento delle rate o, almeno, rinegoziazione dei tassi.
In queste condizioni la ripresa sarà più ardua del previsto, se ripresa vi sarà.
Argomento già affrontato, tra l’altro, nel giugno 2022: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/ef-economia/inflazione-e-tassi-in-rialzo-litalia-a-un-bivio/ .
Tutto ciò induce a pensare, più che lecitamente, che, al pari della lotta all’inquinamento globale, anche l’inflazione costituisce un solido alibi per portare avanti politiche mirate a raggiungere obiettivi prefissati alle alte sfere della UE e non soltanto l’abbattimento dell’inflazione stessa.
Non si può in alcun caso pretendere di considerare l’eurozona al pari degli Stati Uniti d’America per il semplice fatto che sull’altra sponda dell’Atlantico si viaggia ad una sola velocità mentre all’interno dell’Unione esistono tre aree ben definite le cui economie viaggiano a velocità differenti alle quali la politica economica e finanziaria centralizzata, e l’assenza di sovranità monetaria per i singoli stati, non possono dare alcuna risposta.
Esistono infatti i paesi frugali (nord-Europa) che ruotano intorno alla Germania e le cui economie non destano particolari preoccupazioni, oltre ad avere un sistema di welfare che sostiene concretamente le classi più deboli ed il livello dei salari abbastanza elevato per far fronte anche a momenti come questo.
Abbiamo poi i paesi dell’Est in forte crescita ordinata e che offrono appetibili vantaggi di tipo fiscale, al fine di attrarre investitori ed aziende, e contemporaneamente garantiscono ai cittadini livelli di qualità della vita ben al di sopra dell’ultima zona fanalino di coda costituita dai paesi mediterranei con enormi criticità in ogni settore.
Non a caso alcuni stati dell’Est, parte della UE, non hanno aderito all’euro…
Questo quadro economico è sufficiente a suggerire ai cosiddetti rulers europei, mutuando il termine dal mondo islamico, strategie differenziate al fine di garantire, per ognuna delle tre citate aree, soluzioni più adeguate alle singole realtà.
Non bisogna scomodare premi Nobel, infatti, per comprendere che ciò che va bene alla Germania, ad esempio, potrebbe invece essere un danno per altri paesi e viceversa.
Pertanto, la soluzione in momenti come questi, è la diversificazione delle politiche economiche parametrate per aree, considerando che uscire dall’euro, per coloro che vi hanno aderito, è praticamente impossibile.
Esattamente come si è fatto con il PNRR, ovvero garantendo più risorse a chi ne aveva bisogno.
Il principio è il medesimo e per applicarlo alla politica dei tassi non occorrerebbe uno sforzo sovrumano in quanto non comporterebbe alcuno sconvolgimento, al contrario aiuterebbe a restringere il gap tra le nazioni floride e quelle in difficoltà garantendo ossigeno a chi è a corto d’aria.
Perseverare invece sulla sola strada degli aumenti indiscriminati, e per tutti in egual misura, è un chiaro segnale di mirare ad aumentare il divario tra le citate aree dell’eurozona e condannare gli stati con eccessivi debito ad indebitarsi ancora di più; pensiamo soltanto ai bonds governativi i cui principali acquirenti (nei paesi mediterranei) sono appunto i soliti noti … e così si trasferisce, di fatto, ricchezza da paesi povero, che diventano ancora più poveri, a paesi ricchi che diventano ancora più ricchi.
Se si usasse la logica, andando a fondo nella comprensione di ogni cosa, il disegno apparirebbe nella sua interezza; infatti se unissimo la politica sui tassi a quella sull’immigrazione incontrollata, alla quale la UE pare cieca e sorda, ed alle decisioni in materia di ambiente e cibo, chiaramente ostili ai paesi mediterranei, immediatamente i conti tornerebbero … è in atto un riassetto all’interno della UE, allo stesso modo in cui si creano le bad banks per riempirle di titoli tossici o garbage.
È questa l’Unione Europea? Assolutamente no, è soltanto una organizzazione nata con i migliori auspici e poi finita per asservirsi inizialmente a pochi stati membri e dopo, nella sua globalità, agli USA.
Se non si pone un freno a queste dinamiche non è lontano un nuovo 2008.
Antonino Papa, 5 maggio 2023