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OTTAVA PUNTATA

Tutti i porti dei presidenti: Alessandro Di Cio’

Omicidio in Laguna: l’8 settembre del 1993 il Provveditore al porto di Venezia è ucciso con 18 coltellate dal direttore amministrativo della Compagnia portuale

Tutti i porti dei presidenti, di Bruno Dardani

Anche la portualità italiana, sebbene politicamente siano stati compiuti tutti i possibili sforzi per cancellarne il ricordo, ha il suo 8 settembre. Non quello di un armistizio; anzi, l’esatto contrario.

È l’8 settembre del 1993. Sul Canale della Giudecca a Venezia il caldo di un’estate torrida incombe ancora sfumando, come spesso accade in Laguna, le sagome e i confini anche degli edifici più evidenti come quella Basilica della Salute che chiude la vista verso San Marco. Zattere è la casa dei traffici marittimi; qui si staglia la sede ricca di mosaici dell’Adriatica di Navigazione, ma specialmente quella del Provveditorato al porto di Venezia, l’unico Ente portuale che rechi ancora nel suo nome le memorie storiche di funzioni in gran parte superate.

Sembra una giornata normale, ma è invece una giornata di ordinaria follia. Alessandro Di Ciò, 65 anni, manager privato approdato al vertice del porto sei anni prima, è da poco entrato nel suo ufficio nella sede di Zattere del Provveditorato al porto. La tragedia si consuma in pochi minuti: Alessandro Travagnin, direttore amministrativo della Compagnia portuale, bussa alla porta e chiede un colloquio a quattr’occhi. La porta si chiude e il rumore del battente diventa tutt’uno con le urla che sembrano seguire senza soluzione di continuità. Diciotto coltellate, l’ultima alla carotide, quella fatale. Alessandro Di Ciò è nel piccolo atrio dell’ufficio, sul pavimento, con il sangue che gli esce dal collo. Aveva trovato la forza di scappare, per chiedere aiuto. L’assassino è a pochi metri, che singhiozza seduto sul divano.

“Cos’ho fatto, mi sono rovinato”. Ripete meccanicamente l’omicida con i vestiti sporchi, impregnati del sangue che ancora sgorga dal collo del Provveditore al porto, nell’atrio dell’ufficio dove Di Ciò in un ultimo disperato sforzo si è trascinato cercando di chiamare aiuto.

Tutti si affanneranno a definire Travagnin un uomo mite e a non spiegarsi quella evidente premeditazione che lo aveva spinto ad acquistare l’arma del delitto, un coltello a serramanico, proprio quella mattina, pochi minuti prima di entrare nell’ufficio di Di Ciò e ucciderlo.

A mente fredda taluni cercheranno di individuare il reale movente e riportare anche quel delitto a una logica giudiziaria normale: il titolo di un giornale che pronostica l’imminente commissariamento dell’impresa della Compagnia portuale che Travagnin dirige, il rischio che vengano a galla commistioni e bilanci fasulli della stessa Compagnia e dell’impresa che ha figliato; infine la paura di Travagnin, figlio di un portuale e laureatosi in economia, di perdere il posto di lavoro.

Il silenzio come regola sulle banchine

Sulla vicenda cala rapidamente una cortina di silenzio. Come su ogni vicenda portuale che riproponga pericolosamente indagini sui conti del porto, delle Compagnie portuali, sulla gestione della manodopera sulle banchine. Nel 1993, in quel mese di settembre, sono trascorsi quasi cinque anni da quei decreti Prandini che hanno aperto una crepa nel sistema del lavoro portuale, ma la contrapposizione politica, il tentativo di restaurazione e un substrato di violenza e di odio colorano ancora le banchine dei maggiori porti italiani.

Alessandro Di Ciò, già a capo di Alusuisse, che possedeva il 100% di Sava, fondatore della società Vecon, nel 1986 era andato a dirigere il Porto di Venezia, affiancando il suo impegno professionale a quello politico, con la DC, di cui era stato candidato sindaco a inizio anni Novanta nell’alleanza DC-PSI. E da Presidente, come anni prima aveva fatto D’Alessandro a Genova, aveva applicato al porto quelle regole e quei metodi di gestione manageriale, che sarebbero normali in qualsiasi habitat economico e lavorativo, ma che nella grande “anomalia”, quella dei porti, dibattuta e difesa anche in Parlamento, generano tensioni e strappi dalle conseguenze talora incontrollabili. A detta di tutti, Di Ciò nominato Presidente il 19 novembre 1986, è l’uomo che ha salvato e rilanciato il porto di Venezia dopo una lunga e grave crisi cominciata a inizio anni Settanta, è l’uomo che in poco tempo ha riportato a Venezia i traffici persi della siderurgia, del general e project cargo, che ha organizzato in modo moderno con la Vecon il traffico contenitori, che ha spostato su Porto Marghera il baricentro dei traffici delle merci commerciali creando i presupposti anche progettuali per la destinazione al traffico crocieristico della totalità dell’area della Marittima.

Con il senno di poi, si potrebbe affermare che è davvero troppo per un porto che vive di conservazione e dove anche le scelte strategiche di Di Ciò (basti pensare alla concentrazione delle crociere alla Marittima) verranno sgretolate da opposizioni di tipo politico o dal lavoro ai fianchi degli ambientalisti. Oggi, quelle 18 coltellate, sferrate da un uomo che tutti definiscono tranquillo e riflessivo, non sono solo la conseguenza della follia del momento. Sono il frutto di un clima avvelenato che i porti, incluso quello di Venezia, non riescono a scrollarsi di dosso. Decenni di storture ideologiche, di riserve protette, di norme su misura, sono gli elementi di un cocktail esplosivo che a Venezia, quella mattina di settembre, deflagrano in maniera incontrollabile.

Presto, troppo presto, su quel delitto, calerà l’oblio. Di Travagnin i media si affannano a sottolineare che è un family man, che il delitto è inspiegabile, ma quel coltello a serramanico acquistato pochi minuti di risalire lo scalone che porta all’ufficio di Di Ciò, racconta una storia differente, quantomeno un clima differente. Era stato sufficiente il titolo di un giornale locale che preannunciava l’arrivo di un commissario alla guida della Compagnia portuale, e il sospetto che veniva fatto aleggiare sui bilanci della Compagnia portuale stessa, per alterare tutti gli equilibri, anche quelli mentali.

“Mi vogliono rovinare, vogliono rovinare la Compagnia portuale, colpirci a fondo”. Ma l’unico colpito, da ben 18 coltellate, è il Provveditore al porto; in quella pozza di sangue che si allarga sul pavimento non muore solo Di Ciò; si consuma anche una delle storie più drammatiche di un clima di violenza che, anche se negato, è sempre serpeggiato sulle banchine dei principali porti italiani.

L’assassinio contiene in sé valori simbolici: DC e probabile candidato alla poltrona di Sindaco di Venezia, la vittima; iscritto al PDS l’omicida; imprenditore, la vittima; funzionario di una Compagnia portuale, chi ha sferrato le coltellate e che aveva pazientemente atteso in sala d’attesa che il “dottore si liberasse”, non per potergli parlare dell’inchiesta sui bilanci e sulla atavica commistione fra conti del lavoro e conti dell’impresa, ma per ucciderlo.

Durante i funerali il porto si ferma, ma la cappa grigia che incombe sulla laguna faticherà a diradarsi, lasciando sulla vecchia sede di Zattere sempre e comunque una traccia di sangue.

7. Continua …

Leggi tutti i capitoli:

  1. Un paese molto strano
  2. Isole infelici
  3. Tutti i porti dei Presidenti: Stefano Canzio
  4. Tutti i porti dei presidenti: Giorgio Bucchioni
  5. Tutti i porti dei presidenti: Cristoforo Canavese
  6. Tutti i porti dei presidenti: Paolo Costa
  7. Tutti i porti dei presidenti: Roberto D’Alessandro
  8. Tutti i porti dei presidenti: Alessandro Di Cio’

Si ringraziano per la collaborazione: