Prima di lui arrivava il fumo del suo sigaro toscano. Comunista convinto, mai spergiuro per abbracciare il nuovo trend radical chic della sinistra, sindacalista della CGIL, deputato e senatore del PCI-PDS, primo Presidente di un’Autorità portuale in Italia, a Civitavecchia, poi Presidente dell’AP di Napoli e di Assoporti: una vita intensa, legata al mondo della politica e a quello del lavoro.
Alleati e amici, tanti, ma anche avversari, di Francesco Nerli hanno apprezzato una dote per certi aspetti unica: gestire il potere, in taluni momenti tanto potere, con ironia e quel senso dell’umorismo tutto toscano che era in fondo in fondo il suo tratto dominante. Della sua Siena portava in ricordo un accento raffinato che presto si confondeva in quel livornese che era comunque lingua più adatta per le barricate.
Barricate sulle quali Nerli saliva e scendeva per guidare riunioni fiume, nelle quali l’ideologia si stemperava nella prassi, nella necessità di trovare sempre e comunque soluzioni che potessero essere forse non apprezzate, ma comunque digerite.
Proprio questa capacità di mediazione è stata la sua caratteristica predominante e a questa capacità va ricondotta quella riforma dei porti, la 84 del ’94, che lui stesso considerava una sua creatura al punto che negli anni a seguire avrebbe ottenuto quasi un effetto di identificazione con il suo nome.
E questo anche nel periodo buio in cui una delle tante inchieste giudiziarie scellerate lo aveva costretto per oltre un decennio a giocare in difesa rimandando al mittente e ai costruttori di una frettolosa inchiesta basata su teoremi, le accuse di un uso politico della sua carica nonché dei denari del contribuente.
Nerli dell’uso politico, o meglio, dell’ispirazione politica delle sue azioni ai vertici della portualità italiana non aveva per altro mai fatto mistero, trasferendo nella logistica e nei porti la sua passione, temperata da un rispetto costante per le istituzioni. Un mix, questo, che gli ha consentito di modernizzare il sistema dei porti italiani.
Di lui si affermava che fosse il vero e proprio ministro-ombra di un settore, quello dei porti, al quale tenacemente i governi che si erano succeduti in Italia non avevano mai riconosciuto né dignità né importanza strategica. La sua dialettica e forse anche quella matrice senese, con inflessioni di livornesità, che la caratterizzavano, avevano fatto di lui un elemento imprescindibile del dibattito sulla governance dei porti e in particolare su quel rapporto delicatissimo che da sempre caratterizzava il triangolo fra Istituzioni di governo (prima i Consorzi del porto quindi le Autorità), il mondo del lavoro portuale (sublimato in quello delle Compagnie) e la funzione nascente di operatori privati chiamati a gestire terminal e banchine.
Stratega e per certi versi rifondatore della portualità italiana, non mancava mai di collocare, anche nelle discussioni più accese, quel pizzico di ironia scanzonata che era lo specchio di un’intelligenza molto acuta, in grado di cogliere prima di altri, inclusi e forse primi fra tutti i compagni di partito, i segni di cambiamenti in atto, ai quali non valeva la pena di contrapporsi e che dovevano invece essere cavalcati per tempo.
Grazie a questa capacità di dialogare nel futuro era riuscito anche nel miracolo di salvare le Compagnie portuali nel momento più buio della loro storia, quando proprio la contrapposizione talora ottusa le aveva trasformate in cellule anomale da eliminare dalla portualità nazionale.
Fare di Assoporti una cabina di regia
Grande amico di leader politici del PCI, all’interno del partito aveva conservato un’autorevolezza maggiore rispetto a quella di cui godeva il settore portuale di cui si occupava. Come Presidente dell’Associazione dei porti italiani, aveva operato con il massimo sforzo, per trasformare Assoporti in un soggetto ascoltato dal governo e dal Parlamento, dovendo a sua volta far fronte alle spinte centrifughe e autonomiste di molti porti. Una volta a un gruppo di amici, in confidenza aveva confessato che avrebbe preferito essere amato che stimato. La verità è che l’affetto che anche fra gli avversari aveva seminato come ricordo, aveva di gran lunga superato quella equazione.
Presidente del porto di Civitavecchia, quindi di quello di Napoli, non aveva mai perso comunque la sua visione ecumenica della portualità, ponendosi per certi aspetti all’avanguardia anche rispetto a chi negli anni a venire avrebbe sostenuto la necessità di un coordinamento globale di tutto il settore. Ovviamente sotto la sua regia.
13. Continua …
Leggi tutti i capitoli:
- Un paese molto strano
- Isole infelici
- Tutti i porti dei Presidenti: Stefano Canzio
- Tutti i porti dei presidenti: Giorgio Bucchioni
- Tutti i porti dei presidenti: Cristoforo Canavese
- Tutti i porti dei presidenti: Paolo Costa
- Tutti i porti dei presidenti: Roberto D’Alessandro
- Tutti i porti dei presidenti: Alessandro Di Cio’
- Tutti i porti dei Presidenti: Michele Lacalamita
- Tutti i porti dei Presidenti: Rinaldo Magnani
- Tutti i porti del presidente: Marina Monassi
- Tutti i porti dei Presidenti: Gianni Moscherini
Si ringraziano per la collaborazione:
- ASSAGENTI
- Assarmatori
- Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale
- Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale
- Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale
- FEDERAGENTI
- Federlogistica
- Fondazione Slala
- GNV - Grandi Navi Veloci
- Gruppo Gallozzi
- Ignazio Messina & C.
- ISoMAR
- Nova Marine Carriers
- SAAR Depositi Portuali
- Shipping Mediterranean SeaLog
- Unione Utenti del Porto di Savona – Vado Ligure