I miei viaggi nella teoria economica (Edmund Phelps)

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I miei viaggi nella teoria economica,

Edmund Phelps, Nobel per l’Economia nel 2006 e oggi novantenne, è un economista piuttosto complicato. I suoi lavori sono molto tecnici e il suo desiderio, pubblicamente espresso, è sempre stato quello di fare ricerca teorica più che insegnamento. Non è propriamente un monetarista alla Friedman o un individualista alla Hayek, ma in pochi sono riusciti a smontare la teoria keynesiana, proprio quando era la regola accademica, quanto Phelps.

Il suo saggio I miei viaggi nella teoria economica, ora edito dall’Istituto Bruno Leoni (IBLLibri), è un testo proprio per questo prezioso. Intreccia la sua carriera, partita a Yale e poi terminata alla Columbia, con lo sviluppo delle sue ricerche. Anche se laterale nello sviluppo del testo sono interessanti le sue digressioni sul suo primo impiego da ricercatore alla corte di James Tobin: «Il nostro compito principale doveva essere quello di consolidare la teoria di Keynes o di trovarvi ulteriori implicazioni, non di creare una o più teorie nuove. Mio libro sul debito pubblico, che si discostava dalla posizione di Jim, in quanto considerava il debito e, quindi, i disavanzi che lo creano, come un freno alla crescita, fu completamente ignorato. L’atmosfera di Cowels, poi, non prendeva in considerazione e men che meno incoraggiava nuovi modi di pensare».

Nei suoi sei anni a Cowels (Yale) nessuno, proprio per il suo modo di pensare laterale e non strettamente dottrinario, gli offrì una cattedra: «Ero indignato con questi membri di facoltà che pensavano solo ai propri interessi ed erano indifferenti alle prospettive dei loro giovani studiosi più brillanti». Si riferisce insomma ai baroni dell’economia nell’America degli anni ’60: se non eri keynesiano eri fregato. Si capisce bene, come abbiamo letto in tanti altri economisti, quale fu la portata rivoluzionaria dell’università di Chicago, che da lì a qualche lustro diventerà la prima scuola di economia del mondo.

Phelps ripercorre, tra note personali e luoghi diversi della sua vita accademica, il suo percorso di ricerca. Racconta come maturò l’idea dei rischio di emettere debito pubblico e sugli effetti di spiazzamento sul capitale privato e soprattutto le sue pessime conseguenze sulla crescita. Il suo passaggio a Londra fu fondamentale per mixare teoria macroeconomica e micro (la sua specialità) che fu l’intuizione più forte con la quale smontare il dogma della curva di Philips e distruggere l’idea molto ben utilizzata dalla politica di mettere in relazione inflazione e disoccupazione.

Nicola Porro per Il Giornale 23 giugno 2024

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