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Egonu schifa l’Italia “razzista” che l’ha fatta diventare ricca

Intervista choc della pallavolista prima di Sanremo. Ci sputa addosso? Se ne vada altrove

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Libro Cuore in noir: “Paola Egonu e quella crudele maestra d’asilo”. Ancora tu? Ma non dovevi romperci i maroni mai più? No, c’è Sanremo e Egonu fa riscaldamento come prima di una partita: rilascia a Vanity Fair una “amarissima intervista”, come la chiosa Repubblica (what else), che poi la riprende per capitoli martirologici: PE e la maestra, PE e le lacrime, PE e il White Iconic Power, PE e la ex fidanzata. Ahò: che cojoni. L’amarissima che fa benissimo, alle tasche sue, meno alle nostre, ormai sfondate.

Non è il caso di sprecare un’esegesi sulla sequela di provocazioni immature, di evocazioni da pensiero debole, da teatro dei burattini col Mangiafoco piddino, concentriamoci sull’essenza. C’è qualcosa che stride, che davvero non si può sentire, non più, non oltre, in una campionessa nonché influencer di successo e di portfolio che per l’ennesima volta rispolvera la storia, stucchevole, del caffè servito freddo alla mamma, della maestrina Ku Klux Klan style, fino a una conclusione incredibile: non farei mai un figlio per non costringerlo alla vita di merda che ho avuto io.

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Di che sta parlando questa presuntuosa ragazzona che a vent’anni è già milionaria? Dell’Italia in cui è cresciuta negli anni duemila, globalizzata, reificata, politicamente riveduta e corretta oltre il lecito, dipinta come l’Alabama coloniale dove impiccavano i colored un secolo fa? Qui è chiaro che si cerca la rissa e la si cerca in un modo stupido, infantilmente capriccioso. Fomentata da quelle jene patetiche che sono i giornalisti, altro che intervista amarissima: “Hai paura di questo governo?”. Sì, chiaro, come si fa a non aver paura di questa massa di cannibali che si mangiano vivi il gender, il fluid, l’utero in leasing, i mikrants, gli united colors of Egonu, certo che fanno orrore, ma più che altro “come fanno quei potenti a dormire tranquilli”, in una curiosa sintesi ipercamp tra Greta e Malgioglio. Ad usum Sanremi ovvero ad usum Piddì? Annamo bene, annamo proprio bene, chi sa il resto del monologo che ci aspetta, vediamo se ci infila pure il governo assassino di Cospito, come i fuoricorso alla Sapienza.

Prego divina Egonu, sputaci pure addosso, specie adesso che comanda Meloni, nera più di te. Tanto se controbattiamo è la prova che automaticamente siamo razzisti, se abbozziamo è la prova che abbiamo la coda di paglia, ergo siamo razzisti. A questo punto, Egonu casca nel suo ridicolo cioè ha stufato, come testimonia la valanga di commenti via social da soggetti niente affatto razzisti, se mai irritati da una che il razzismo fa di tutto per eccitarlo, almeno nella forma dell’insofferenza. Ed è un comportamento che da pretestuoso si è fatto spregiudicato e infine irresponsabile.

Si capisce, la nostra campionessa ma si potrà ancora definirla nostra senza offenderla?, non deve niente a nessuno, madre natura l’ha dotata di un talento naturale e lei lo sta sfruttando secondo leggi di mercato: va dove meglio la pagano, ultimamente in Turchia, notoria culla dei diritti umani e sessuali. Il problema è come lo sfrutti, il talento, come lo amministri. La divina Egonu ne ha fatto un’arma retorica senza tanti scrupoli. Lo ha usato per ottenere sempre più attenzione, più potere, a detta dell’ambiente in un modo insopportabile anche per le compagne e per gli allenatori.

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Tanto vero, che perfino nella tollerante Turchia pare le abbia detto male, insomma dopo un anno non ne possono già più. La Divina Egonu è sempre in cerca della visibilità conflittuale, sì, sono nera e sono lesbica, non vi va? C’è qualcosa che non va? No, figurati, stai facendo tutto tu, sai a noi quanto cazzo ce ne frega. Neanche fossi la prima in un mondo che ormai di dirigismo black e genderfluid si farcisce al punto da costituire la nuova normalità. Non basta ancora? Che altro si vuole, la punizione retroattiva delle generazioni pallide da qui alla settima, come pretende il BLM?
PE non è la voce della coscienza di nessuno, è una pallavolista, una Nazionale, per quanto possa farle schifo, al netto dei premi; la pagano di conseguenza, va a Sanremo, sempre adeguatamente ricompensata. Va a denunciare il razzismo e la non invlusività a una platea di 12 milioni di inclusi, anzi di reclusi, che la ascoltano come il Verbo incarnato. Non fa sorridere?

La ragazzina, anche se alta due metri, dovrebbe considerare che il suo talento genetico lo ha potuto coltivare, affinare, far fruttare non in una foresta di capanne paglia e fieno e neanche all’ombra tetra di un gulag, ma nel razzistissimo nordest dove è cresciuta sana, forte e libera in tutti i sensi. E se pure ha avuto una prima infanzia, a sentir lei, terrificante, negli ultimi 20 anni è stata idolatrata, amata, invitata e religiosamente ascoltata come una Madonna (Madonna nera, stavamo per scrivere, ma l’umorismo è una facoltà dell’intelligenza che chi si prende troppo sul serio fatica a maneggiare). Torna, come ogni anno, al festival militante genderfruit, e per le sue accuse strampalate dovremmo baciarle la scarpetta? Ma cosa mi rompi i coglioni, come dice Fantozzi alla moglie Pina: c’è sempre un razzista meno razzista di te che paga le conseguenze del tuo razzismo narcisistico, ma a questo punto diremmo che il gioco può finire qui, cantatevela e suonatevela come vi pare, ma inter vos.

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La contemporanea, nerissima Egonu fa il paio con la storicizzata, eburnea Segre, tutte e due al centro di una questione epocale con lo stesso vittimismo aggressivo pedagogico: abbiamo già dato, grazie, e abbondantemente, adesso, se non vi dispiace, spostatevi e lasciateci vedere il mondo. Siamo stanchi di esaltare chi si sdegna di questo paese dove tutti, da un certo partito in poi, sarebbero dei merdosi razzisti. Il paese non è così, avrà delle sacche di intolleranza, di beceraggine, fisiologiche nelle società democratiche, ma pretendere il paese depurato e sterilizzato è a suo modo fascista. Forse Egonu non conosce il razzismo africano dei suoi ascendenti, che è tra i più spietati; non lo diciamo per recondite allusioni, ma perché verità impone di essere reali, di dire che uno spicchio di pianeta completamente idilliaco non esiste.

L’importante è non fare di ogni questione o memoria un trauma, perché è questo ad accendere l’intolleranza, a spezzare i ponti del dialogo e del rispetto: alla fine, la storia ufficiale del caffè freddo la devi superare, altrimenti vai dallo psicologo, figlia mia, ma non puoi farne un evergreen, o everblack, ad ogni Sanremo che Cristo manda in terra. Anche con la maestrina hitleriana, a un certo punto o ci metti una pietra sopra, metaforicamente si spera, o non ne usciamo più. La divina Egonu non vuole perpetuarsi perché sente la condanna, che i suoi geni non meritano, di soffrire in una landa come l’Italia che è la più infame del creato: e va beh, può sempre partire in tutte le direzioni, può abitare il mondo, sempre che trovi un posto dove la sopportano. Toccherà farsene una ragione.

Max Del Papa, 4 febbraio 2023