Dopo aver resistito stoicamente per ottanta lunghi giorni, Giovanni Toti si è dovuto arrendere alla furia giustizialista della Procura di Genova e rassegnare le sue irrevocabili dimissioni da Presidente della Regione Liguria. Oltre due mesi e mezzo di prigionia inflitta dai pm genovesi a colpi di misure cautelari, che hanno fiaccato nel corpo e nello spirito il combattivo governatore ligure, che alla fine non ha potuto far altro che cedere il passo, avendo egli stesso compreso che dimettersi rappresentava l’unica via possibile per riacquistare la libertà perduta.
D’altronde, l’offerta dei magistrati era parsa chiara sin dal principio: dimissioni in cambio della libertà. Un ricatto in perfetto stile Tangentopoli, quello operato dalle toghe del capoluogo ligure, che certifica, laddove ve ne fosse ancora il bisogno, l’esistenza di un evidente squilibrio tra poteri dello Stato (originatosi proprio dalla barbara stagione di Mani pulite), con il potere giudiziario tiranno rispetto a tutti gli altri poteri. Ma tant’è.
L’ennesimo scontro Politica-Magistratura si chiude dunque qui, e si conclude ancora una volta in favore delle Procure. Vincono i pm, che sul principio della presunzione di colpevolezza e mediante il ricorso all’arma della custodia cautelare rovesciano l’esito di un voto popolare e costringono alle dimissioni un governatore democraticamente eletto. Vince Giovanni Toti, che dopo settimane di eroica e solitaria resistenza potrà finalmente riprendere in mano la sua vita. Perde invece nettamente la politica, dimostratasi del tutto incapace di reagire agli attacchi sferrati dalla magistratura. Tutta la politica, è bene precisarlo. Perdono le opposizioni, che stupidamente riescono persino ad esultare per le dimissioni di Toti, come se queste rappresentassero soltanto la sconfitta personale del presidente ligure o dei partiti di maggioranza. Ma, d’altronde, c’è poco di cui stupirsi, dai sinistri giustizialisti c’era da aspettarselo. E perde soprattutto un centrodestra troppo timido e apatico, non capace di offrire il necessario sostegno politico al suo governatore, e, pertanto, costretto a piegarsi al sommo volere delle Procure.
Ma sia chiaro: abdicare mestamente ai principi del garantismo ed abbandonare al suo triste destino Giovanni Toti (come se il problema fosse lui), non rappresenta certo la soluzione a un cancro che affligge il paese da trenta lunghi anni. Anche perché, si sa, oggi tocca a Toti, domani chissà.
Così come risulta parecchio ipocrita, e soprattutto assai sterile, prodigarsi nel lanciare pubbliche invettive all’indirizzo dei pm e perdersi in inutili e fastidiosissime frasi di rito ora che i giochi sono praticamente fatti. Così non va proprio caro centrodestra, avresti dovuto pensarci prima. Adesso non serve più. Questa battaglia di civiltà finisce qui.
Salvatore Di Bartolo, 28 luglio 2024
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