Il populismo in politica non è mai stato la soluzione. Non lo è stato il populismo giudiziario che caratterizzò la cruenta stagione di Mani pulite, e non lo è stato neppure il populismo di stampo grillino dilagante in quest’ultimo decennio. Al contrario, l’esperienza secondorepubblicana dovrebbe averci insegnato a stare alla larga da chi fa dell’antipolitica militante la soluzione per risolvere i tanti problemi che affliggono il Paese e per porre rimedio alle tante mancanze che oggigiorno caratterizzano l’azione politica della nostra classe dirigente.
I problemi appannaggio della politica non si risolvono affidandosi all’abbraccio mortale dell’antipolitica, questo dovremmo averlo ampiamente compreso (ahinoi a nostre spese) in questo ultimo trentennio. Per superare le molte falle della nostra classe dirigente, sia chiaro, ci vuole più politica, non meno politica.
E se questo dovesse implicare il fatto di dover pagare di più i nostri politici, siano essi ministri, deputati o senatori, che ben venga. Meglio pagare di più un politico capace, in grado di dare risposte e trovare soluzioni, piuttosto che pagare meno un politico incompetente che si riveli poi un peso morto, o ancor peggio un danno, per il Paese. Sono gli incapaci, i miracolati e i ruffiani le vere sanguisughe della politica, non chi, possedendo un bagaglio di competenze ed esperienza da mettere al servizio del Paese, dovesse (giustamente) percepire qualche centinaio di euro mensili in più.
Il vero punto su cui incentrare il focus non è pertanto il mero aspetto economico, che pure ha la sua rilevanza, chiaro, quanto piuttosto la necessità di individuare dei profili adeguati superando determinate logiche nepotiste e clientelari che sortiscono quale unico effetto quello di delegittimare la classe politica nella sua interezza ed accrescere ulteriormente la distanza tra cittadino e palazzo.
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Il problema, caro Mario Giordano e cari italiani che ogni giorno vi indignate per i costi (a vostro dire eccessivi) della politica, e qui vengo al nocciolo della questione, non è tanto il quantum, ma il qui. Se chi occupa lo scranno di ministro della Repubblica non è abbastanza capace, pronto, degno o risoluto, questo non significa che chi invece lo è non debba essere adeguatamente retribuito.
La vera sfida da cogliere non è pertanto continuare a tagliare i costi dell’attività politica come se non ci fosse un domani, e, di conseguenza, continuare ad abbassare il livello della nostra classe dirigente fino a raschiare il fondo del barile. La vera sfida sta nell’individuare i giusti profili da mandare in Parlamento e nei vari ministeri, e, se dovesse servire, pagarli anche di più (il giusto). Dicendolo a chiare lettere, e rivendicandolo a testa alta, come chiede giustamente Mario Giordano. Perché la vera vergogna, e qui mi rivolgo direttamente a chi ci governa, non è pagare di più un ministro. La vera vergogna è vergognarsi di fare alla luce del sole ciò in cui si crede. Se chi di dovere ci crede davvero, abbia il coraggio di portare avanti determinate battaglie e di cambiare in meglio le cose. A testa alta, senza sotterfugi e senza tentennamenti. E non cercando di dover a tutti i costi compiacere il cittadino, la stampa, le opposizioni, l’Europa, e chi più ne ha più ne metta. E ciò vale per i costi della politica, ma vale allo stesso modo per la riforma della Giustizia e per il premierato. È questa la via maestra. Tutto il resto è populismo.
Salvatore Di Bartolo, 17 dicembre 2024
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