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Eletto ma senza poteri: cosa va (e cosa no) in questo premierato

Il ddl Casellati approderà nel Consiglio dei ministri di venerdì: ecco cosa prevede l’ultima bozza disponibile

meloni palazzo chigi © TkKurikawa tramite Canva.com

Nel vertice di maggioranza di due giorni fa, oltre alla manovra finanziaria, è stata trovata la quadra politica sulle riforme istituzionali. Il ddl Casellati approderà nel Consiglio dei ministri di venerdì e, se approvato, sarà la base di partenza del lavoro delle Camere. La bozza che circola in queste ore, salvo eventuali modifiche fino a venerdì, consta di una revisione costituzionale piuttosto snella, di appena cinque articoli. Vediamone i tratti salienti.

Il Presidente del Consiglio dei ministri sarà eletto a suffragio universale e diretto (cioè direttamente dal popolo), esattamente come avviene per sindaci e presidenti di Regione. Tuttavia, nonostante l’elezione diretta, non avrà i maggiori poteri connessi ad una elezione diretta. Ci spieghiamo meglio. Anzitutto non sarà Primo Ministro ma resterà Presidente del Consiglio dei ministri, cioè rimarrà primus inter pares (primo tra i suoi pari) e non diventerà premier; quindi, non potrà determinare la politica del governo ma si limiterà a dirigerla, esattamente come avviene dal 1948 ad oggi. Ma fatto ancor più curioso è quello che non potrà neppure nominare e revocare i Ministri del suo governo, tanto è vero che la nomina dei Ministri resterà prerogativa del Capo dello Stato, seppur su indicazione del Presidente del Consiglio. Esattamente come accade da oltre settant’anni. Ci chiediamo, a questo punto, a cosa serva eleggerlo direttamente se non potrà nominarsi nemmeno i Ministri che vuole ma continuerà a fare i conti con i veti del Quirinale. Misteri.

Unica novità rilevante del ddl Casellati, che introduce un premierato de facto, è la norma antiribaltone, cioè – in sostanza – a Palazzo Chigi ci entra e ci resta per ben cinque anni la persona eletta Presidente del Consiglio direttamente dal popolo. Intrighi, ribaltoni e manovre di palazzo saranno praticamente impossibili da realizzarsi. La norma introduce infatti in Costituzione l’obbligo per il Presidente della Repubblica di conferire l’incarico di formare il governo al Presidente del Consiglio eletto (in tal modo viene del tutto superata anche la prassi costituzionale delle consultazioni presidenziali), il cui nominativo sarà collegato alle liste elettorali che lo sostengono, liste che a loro volta otterranno in Parlamento un premio di maggioranza pari al 55% dei seggi.

Una previsione cosiddetta anti-ribaltone che, seppur legittima e condivisibile, ci lascia perplessi principalmente sotto due aspetti: 1) prevedere in Costituzione una soglia percentuale di seggi parlamentari quale premio di maggioranza è quantomeno insolito, infatti si impone nella sostanza al Parlamento di adottare una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza, risultando difficile l’adozione – ad esempio – di una legge con collegi uninominali a turno unico, che nella pratica mal si confà con una predeterminata percentuale di seggi da assegnare; 2) sarà necessario che il Parlamento, nell’adottare la legge elettorale, preveda una soglia minima di voti oltre la quale sarà legittima l’applicazione del premio di maggioranza, in linea con la sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014. Tuttavia, al di là di questi due aspetti di criticità, la norma antiribaltone è condivisibile.

Non ci trova invece d’accordo la previsione secondo la quale il Presidente del Consiglio eletto a suffragio universale e diretto debba ottenere la fiducia iniziale da parte del Parlamento. Se è eletto direttamente dal popolo, di che fiducia ha bisogno? Un controsenso che facciamo fatica a comprendere. Sindaci e presidenti di Regione, proprio in virtù dell’elezione diretta, non devono ottenere alcuna fiducia iniziale da parte del consiglio comunale o regionale, anche per effetto del premio di maggioranza attribuito alle liste che li sostengono, esattamente come previsto dalla modifica costituzionale in relazione all’elezione diretta del Presidente del Consiglio. La fiducia iniziale delle Camere è davvero un non senso.

Sul punto, il ddl Casellati prevede che, se la mozione di fiducia iniziale non fosse approvata da entrambe le Camere, il Presidente della Repubblica dovrebbe rinnovare il conferimento dell’incarico al Presidente del Consiglio eletto. Se la mozione di fiducia fosse nuovamente respinta (circostanza quasi impossibile vista la costituzionalizzazione del premio di maggioranza), il Capo dello Stato deve procedere allo scioglimento di entrambe le Camere (circostanza che ci trova d’accordo per evitare pasticci) e indire nuove elezioni. Non è prevista l’introduzione della mozione di sfiducia cosiddetta costruttiva; quindi, nel corso della legislatura non sarà possibile per il Parlamento sostituire il Presidente del Consiglio eletto con un nuovo Presidente del Consiglio indicato nella mozione medesima. Tale mancata previsione, benché discutibile, è tuttavia legittima in quanto la modifica costituzionale prevede l’elezione diretta.

Il disegno di legge introduce anche una norma che possiamo definire “di fuga”. Nel caso in cui il Presidente del Consiglio eletto cessasse dalla carica (sostanzialmente in caso di dimissioni o morte), il Presidente della Repubblica potrà – invece di sciogliere le Camere – conferire l’incarico di formare il governo o allo stesso Presidente del Consiglio dimissionario oppure ad altro parlamentare (dunque non esterno al Parlamento) eletto in collegamento al Presidente eletto, cioè, in pratica, alla persona che prima delle elezioni sarà indicato come una specie di vice-presidente del Consiglio (una cosa similare). Non è una norma del tutto errata perché, in tal modo, si evitano governi tecnici o istituzionali, sganciati dalla volontà popolare.

Demagogica invece l’abrogazione della norma che attribuisce al Capo dello Stato la facoltà di nominare cinque senatori a vita, restando tali solo gli ex Presidenti della Repubblica. Sarebbe stato invece opportuno aumentare, seppur di poco, il numero dei parlamentari, cercando di risolvere quantomeno il grave problema di sottorappresentanza al Senato creato dalla altrettanto demagogica riduzione del numero dei parlamentari avvenuta nel 2020.

Già dalla prossima settimana il ddl Casellati passerà alle Camere, le quali procederanno alla discussione ed eventualmente all’approvazione seguendo l’iter previsto dall’ultimo comma dell’art. 72 e dall’art. 138 della Costituzione. Il governo esce di scena e la palla passa dunque al Parlamento, che potrà emendare il ddl come ritiene più opportuno (anche ampliando la portata della revisione). Oltre all’adozione della procedura normale e diretta di deliberazione (passaggio in commissione, discussione, approvazione, successivo passaggio alle aule con discussione e approvazione di ogni singolo articolo e votazione finale), la procedura è quella aggravata prevista dall’art. 138. Il testo dovrà pertanto essere approvato da entrambe le Camere in due diverse deliberazioni, a distanza di almeno tre mesi l’una dall’altra. In prima votazione, dove il ddl Casellati potrà essere emendato, è sufficiente la maggioranza relativa, mentre in seconda votazione, dove non può più essere modificato ma solo discusso, serve quantomeno la maggioranza dei componenti di entrambe le Camere (la maggioranza assoluta).

Quello che arriva in Parlamento è certamente un testo base, snello e suscettibile di modifiche. Quale contributo, offriamo alla discussione pubblica il nostro libro di imminente uscita dal titolo “Il Premierato. Una riforma necessaria”, edito da Giubilei Regnani – Historica, con parecchi spunti di riflessione e suggerimenti utili ad emendare il testo nel corso dell’iter parlamentare, principalmente sotto tre aspetti: le maggiori funzioni da attribuire al primo ministro eletto, la facoltà per il Parlamento di votare la sfiducia costruttiva e la inutilità della fiducia iniziale, con una serie di pesi e contrappesi. Per chi volesse, nelle prossime ore sarà disponibile un nostro significativo contributo anche sul sito del forum dei “Quaderni costituzionali”, la rivista italiana di diritto costituzionale più importante.

Paolo Becchi e Giuseppe Palma, 1 novembre 2023