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Elezioni Usa, Trump o Harris? Gli ultimi sondaggi negli Stati in bilico

Le zone periferiche vedono il tycoon con un vantaggio più solido, ma a fare la differenza saranno le città più popolose

Donald Trump e Kamala Harris © uschools tramite Canva.com

Come funzioni il sistema elettorale presidenziale negli Stati Uniti è questione conosciuta. Ma un breve ripasso non guasta, in vista della sfida tra Donald Trump e Kamala Harris. Il voto popolare complessivo, su scala nazionale, non conta assolutamente nulla. Ciò che conta è il voto popolare espresso dai cittadini per ciascun singolo Stato. Il candidato che in ciascuno Stato ottiene anche un solo voto in più degli altri, si aggiudica tutti i Grandi Elettori assegnati per ciascun singolo Stato. Il totale dei Grandi Elettori è 538. Vince il candidato che ne ottiene almeno 270.

Importanti ma non decisivi sono quindi gli Stati più popolosi, che sono quattro: New York (28 G.E.), California (54), Texas (40) e Florida (30). I primi due sono sicuri per i Dem, gli ultimi 2 per i Repubblicani. E allora, a diventare determinanti, sono solo pochi Stati, detti swing states. Alle prossime elezioni, che si terranno martedì 5 novembre, questi swing states sono 7: Pennsylvania (19), Georgia (16), Arizona (11), Nevada (6), North Carolina (16), Wisconsin (10) e Michigan (15). Gli Stati che invece in passato erano solitamente in bilico per poi risultare decisivi, come ad esempio Ohio (17) e Florida (30), a queste elezioni – come alle due precedenti – sono saldamente repubblicane e quindi, quantomeno sulla carta, già di Trump.

Vediamo ora come stanno le cose questa volta. Gli ultimi sondaggi provenienti dagli Usa ci dicono che Trump sarebbe in vantaggio di circa due punti percentuali in Pennsylvania e tre in Georgia. In Pennsylvania i centri urbani di Philadelphia e Pittsburgh, storici fortini Dem, registrano un recupero del candidato del partito repubblicano, anche a causa della crisi del settore automobilistico (i delusi e gli scontenti, si sa, votano per il candidato opposto a quello espresso dall’amministrazione in carica). Le zone periferiche vedono Trump con un vantaggio più solido, ma a fare la differenza saranno anche questa volta le città più popolose. In Georgia la vittoria di Trump sembra più probabile, ma bisogna pur sempre vedere il flusso di voti dei grandi centri urbani.

Meno rischiosa per i repubblicani è l’Arizona, dove il vantaggio di Trump al momento sarebbe di circa quattro punti percentuali. Più complessa la situazione in Wisconsin e Michigan, dove la candidata democratica Harris era in vantaggio su Trump fino a poche settimane fa, mentre negli ultimi giorni i sondaggi danno un testa a testa: parità in Wisconsin e solo un punto in più per Trump in Michigan. Il North Carolina vede invece Harris avanti di un punto. Il Nevada, che sembrava andare a Trump, ora registra un recupero di Harris, avanti nei sondaggi di circa lo 0,2%.

Insomma, nella peggiore delle ipotesi per i Repubblicani, se Trump dovesse vincere in Pennsylvania, Georgia e Arizona, e perdere invece in Wisconsin, Michigan, North Carolina e Nevada, sarebbe comunque eletto Presidente con 281 Grandi Elettori. E se anche perdesse in Arizona, diverrebbe comunque Presidente con 270 Grandi Elettori. In quest’ultimo caso ci sarebbe però il rischio che qualche Grande Elettore non voti come da indicazione popolare, ma finora – considerate quelle rarissime volte che è successo – non è mai stato determinante per l’elezione del Presidente.

Decisivi e determinanti sono pertanto 2 Stati, Pennsylvania e Georgia, che nel 2020 andarono al candidato democratico Joe Biden grazie al voto postale (capace di ribaltare il risultato scaturito dai seggi), il cui scrutinio terminò qualche giorno dopo l’election day. Già, il voto postale. Negli Usa hanno già votato ben 32 milioni di elettori, quasi un record. Tuttavia, rispetto a quattro anni fa, questa volta si presume che i repubblicani si siano attrezzati nei controlli in ciascuna singola Contea. Questo è quello che dice la logica, ma staremo a vedere.

Ciò detto, a meno che in Pennsylvania e Georgia – come accaduto nel 2020 – non arrivino tonnellate di pacchi postali con la stragrande maggioranza di voti in favore del candidato del partito democratico, Kamala Harris, al momento, ha meno probabilità rispetto a Trump di essere eletta presidente. Anche perché, qualora Trump dovesse perdere in Pennsylvania (19 G.E.) ma vincere in Georgia (16), per diventare presidente gli basterebbe vincere in Arizona (11) e anche solo in uno Stato tra North Carolina (16), Wisconsin (10) e Michigan (15). Medesimo discorso se invece di perdere la Pennsylvania dovesse perdere la Georgia. Fatto sta che, per diventare presidente, il candidato repubblicano deve necessariamente vincere almeno in uno Stato tra Pennsylvania e Georgia, in Arizona e almeno in uno Stato tra North Carolina, Wisconsin e Michigan. Se invece vincesse in entrambi, cioè sia in Pennsylvania che in Georgia, per stare tranquillo gli basterebbe portare a casa solo l’Arizona.

Sarà importante vedere anche i risultati elettorali del Congresso, infatti non si vota solo per l’elezione del presidente ma anche per il rinnovo totale – che avviene ogni due anni – della Camera dei Rappresentanti, e di 1/3 del Senato. Attualmente la Camera è a maggioranza repubblicana (220 seggi su 435) mentre il Senato è spaccato in due (49 Rep, 47 Dem e 4 Indipendenti che spesso votano coi Dem). I sondaggi danno in vantaggio i repubblicani in entrambe le camere, quindi l’eventuale elezione di Trump consentirebbe al presidente, per i prossimi due anni, di imprimere in modo decisivo la politica del governo sulla funzione legislativa. Diversamente, se il Congresso fosse a maggioranza repubblicana e la presidenza andasse invece a Kamala Harris, si verificherebbe quello che gli americani chiamano lame duck, l’anatra zoppa, cioè la necessità per il presidente di trovare accordi politici con il partito che detiene la maggioranza al Congresso. Particolarmente importante diventa la nuova composizione del Senato, vista la competenza esclusiva in materia di accettazione o respingimento delle nomine dei giudici federali effettuate dal Presidente, oltre al potere di concludere trattati internazionali.

Questa la nostra analisi sulla base dei sondaggi statunitensi. Poi è ovvio che, nel segreto dell’urna e del voto postale, può sempre accadere di tutto. Ci lamentiamo spesso del nostro Paese, ma sul punto c’è da dire che in Italia, non essendo ammesso il voto postale ed avendo la scheda elettorale il talloncino anti-frode, non abbiamo i grattacapi statunitensi.

Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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