Ci risiamo. La ventunenne Elisa Esposito, la “professoressa” che sui social dà demenziali lezioni di “corsivo”, fa ancora parlare di sé. E questo immagino che sia oro colato per lei che vive del “far notizia”. A scatenare un putiferio è ora un suo video di risposta ad un commento di un follower apposto in rete sulla sua pagina, tanto icastico quanto pungente: “Ma vai a lavorare!”. La frase incriminata è quella con cui Esposito esordisce nel video, quasi a incolpare chi non ha avuto il suo successo e la ricchezza che ne è conseguita: “Se voi guadagnate con uno stipendio normale sui 1.300 euro al mese la colpa è vostra, non mia”.
Il livore di tanti sarebbe perciò riconducibile, come pure ha specificato, alla “cattiveria” e all’invidia. È un discorso molto liberale, che usa la retorica del lavoro come creatività e autoaffermazione di sé e che scarica di ogni responsabilità quegli enti fittizi, a cominciare dalla società, a cui spesso si richiama la sinistra. Lo stesso sentimento della giustizia e dell’uguaglianza, che permette alla sinistra di raccogliere sotto le sue bandiere una pletora di rancorosi e “risentiti”, è forse il portato di un sentimento “umano troppo umano” quale l’invidia sociale come ci argomenta il sociologo Helmut Schoeck in un classico appena ripubblicato da Liberilibri: L’invidia la società.
“L’Italia non ha colpe, la colpa non è di nessuno se non di voi stessi. Siete voi che decidete il vostro percorso di studi e di vita”, ha aggiunto la Esposito. Più chiara di così non poteva essere. Tanto che si può dire che, sarà pure crasssamente “ignorante”, ma con questo suo ragionamento ha in un colpo solo asfaltato tutti coloro, giovani e non, che si aspettano dallo Stato sussidi e prebende e non si rimboccano le maniche per trovare una via di uscita alle difficoltà e al disagio delle proprie condizioni di vita: coloro che si accontentano di un piccolo stipendio (ad esempio elargito sotto forma di “reddito di cittadinanza” o “salario minimo”) piuttosto che impegnarsi per trovare un lavoro migliore che li farebbe anche sacrificare di più.
Su questa retorica del lavoro come sacrificio, tipicamente moderna e liberale, la fortunata influencer ritorna esplicitamente poco dopo dicendo di essersi fatta e di farsi il cu… per ottenere certi risultati. Ma quali risutati? L’obiezione che a questo punto si pone è se, pur di ottenere successo e soldi, tutto sia lecito: se sia giusto che si diffonda l’idea che una giovane per guadagnare deve degradarsi a dire sciocchezze oppure mostrarsi in abiti discinti senza veicolare nessun contenuto. Il pensiero liberale, soprattutto nella sua versione liberistica, risolve questo problema con una netta separazione di sfere: una cosa è l’etica, un’altra l’economia. Se nella società emerge, ad esempio, una forza che vuole cultura “alta”, chi ha spirito imprenditoriale punterà le sue carte in questo settore; se c’è invece richiesta di qualcosa terra terra, è giusto che l’imprenditore (e la Esposito lo è a tutti gli effetti) dirotti le sue energie sulla vacuità di cose tipo il “corsivo”.
Regge questo ragionamento? Non è forse esso legato troppo ad un mondo, quale quello della modernità, che non ha più un universo di valori trascendenti condivisi? Ed è un bene ed un male tutto ciò? Non lo so. Ma so che non avere una risposta convincente al cento per cento a questi quesiti è un atteggiamento anch’esso molto liberale. Il liberalismo vive infatti di domande e dubbi non di risposte e certezze.
Corrado Ocone, 28 maggio 2023