Allarme rosso. Game over. Occhio. Attenzione. Qui si mette male e non c’è armocromista che tenga. Elly Schlein non sta passando un bel momento e la lettura dei giornali di stamattina pare il bollino di certificazione di quello che gli attenti osservatori avevano capito già da qualche mese: per il segretario dem è probabilmente iniziato l’ultimo giro di orologio al Nazareno, fatto salvo un insperato (almeno per i sondaggi) miracolo alle elezioni europee.
L’entusiasmo nei confronti di Elly sembra ormai latitare anche dalle parti di Repubblica. Ma se i problemi di Schlein fossero solo editoriali, uno potrebbe consolarsi pensando che in fondo i giornali non vendono più come un tempo e non colgono il sentimento della gente. Il problema è che se il Corriere arriva a spiattellare in pagina tutti i malumori dem vuol dire che sotto la cenere qualcosa ribolle. Fabrizio Roncone lo spiega chiaro e tondo: la solitudine di Elly non è un retroscena. È un fatto. È cronaca. In fondo basta riassumere le ultime settimane per capire quanto le diverse anime dem siano al lavoro per fagocitare l’ennesimo segretario, sperando nel prossimo.
Tutto inizia più o meno quando Paolo Gentiloni afferma di non voler andare in pensione, di non volersi ricandidare in Europa e di sognare un ritorno a Roma. Di certo non a fare il barista, semmai il leder di qualcosa. O di qualcuno, magari per risollevare un partito ormai perduto.
Il primo vero inciampo di Elly è stato il gran pasticcio sull’Ucraina: il Pd vota una mozione a favore dell’invio di armi, si astiene su una mozione identica di FdI e pure su quella del M5S che chiedeva di smetterla col sostegno a Zelensky. Caos totale. Elly non si capisce bene cosa ne pensa: è pacifista, ma non può sostenere le posizioni di Conte oppure mezzo partito fa ammutinamento. Infatti tre deputati, tra cui l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, votano in dissenso dal gruppo parlamentare.
Per ricucire lo strappo, e cercare di remare tutti nella stessa direzione (già, ma quale?), la capogruppo dem, Chiara Braga, organizza una due giorni a Gubbio. Lo chiamano “Conclave”, e in effetti riflette pure i lussi del Vaticano: Spa, bagno turco, viaggi emozionali. Elly per non passare da ridical chic (già l’armocromista ce l’ha cucita addosso) diserta l’incontro e si presenta solo all’ultimo. E forse era meglio se non ci fosse andata. Nel suo breve intervento riesce a sconcertare la platea di deputati: prima ammette di aver preferito un film alla loro compagnia, poi si schiera contro l’invio di armi ad Israele. E il problema non è tanto l’ignoranza in materia (subito smentita infatti dalla Farnesina), quanto il posizionamento storico del partito. Il tutto nella settimana della Giornata della Memoria.
Il Corriere narra inoltre che Zingaretti, Bettini, Orlando, Provenzano, Zanda e tanti altri non mostrano più tutto questo entusiasmo per la papessa svizzera. Non bisogna poi dimenticare Vincenzo De Luca, che in Campania conta e può drenare molti voti. E neppure Romano Prodi, che di Elly è stato un sostenitore: prima l’ha accusata insieme a Meloni di voler “svilire la democrazia” candidandosi alle europee senza voler andare a Bruxelles, e ieri da Firenze l’ha bacchettata sul fine vita in Veneto ricordando a lei, e ai suoi sodali tipo Alessandro Zan, che sui temi etici “non esistono ordini di partito”. Tradotto: bene ha fatto la consigliera Anna Maria Bigon a votare secondo coscienza, nonostante Elly l’abbia definita “una ferita” con l’unico risultato di allarmare l’ala cattolica del Pd. “Se puniscono Bigon – ha detto un big come Graziano Delrio – mi autosospendo”. Capite la tempesta?
Il vero dramma è che Elly non sa che pesci prendere. A parte il salario minimo, campagna subito stoppata dalla Meloni, in un anno al Nazareno non si ricordano battaglie degne di nota. Tanto che alla fine sarà costretta a ripiegare sul sempreverde Ius Soli, dalle probabilità di approvazione prossime allo zero. Schlein vorrebbe un Pd movimentista, in stile M5S, ma a forza di correre dietro all’originale i sondaggi danno i due partiti molto vicini. Troppo. Se i grillini dovessero superare i dem alle Europee, sarebbe una debacle cui seguirebbero le ovvie dimissioni.
Per questo Schlein è tentata dal candidarsi come capolista in tutti i collegi, anche a costo di far infuriare Prodi, Bonaccini (“non ci manca una diffusa e preparata classe dirigente nei territori”) e le donne dem che si vedrebbero penalizzate alla faccia delle quote rosa. Ma anche qui l’indecisione le sta costando cara: se sceglie di non candidarsi, sembrerà battere in ritirata; se lo fa, mezzo partito remerà contro.
L’unica scelta saggia che le resta, al momento, è quella di rinunciare al dibattito tv contro Giorgia Meloni: da un punto di vista dialettico, e s’è visto col discorso di Gubbio, non c’è partita. Se Schlein riesce a inanellare gaffe di fronte ai suoi deputati, immaginate cosa può succedere in diretta tv al fianco del premier. Fossi nel suo ufficio stampa, tremerei.
Franco Lodige, 23 gennaio 2023
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