Era tutto chiaro da un anno. I prezzi sarebbero balzati in tutto il mondo. E chi legge questo Giornale ne era stato avvisato per tempo. Il banchiere centrale più importante dell’Occidente – quello americano – ha dovuto pubblicamente scusarsi per la sottovalutazione dell’inflazione, che oggi ha colpito gli Stati Uniti, come l’Europa. Oggi rischiamo di commettere lo stesso errore di sottovalutazione sulla botta che avranno le economie occidentali. E quella italiana in particolare.
Sulla sottovalutazione dell’inflazione, i banchieri centrali avevano una cattiva coscienza: speravano che far gemere il torchio, come si diceva un tempo, immettere moneta elettronica, si direbbe oggi, non avrebbe avuto conseguenze. Invece, è sotto gli occhi di tutti, i prezzi sono saliti tra il 6 e il 10% in tutte le economie più sviluppate. E non solo per il caro-energia e materie prime: immobili, attivi finanziari e a seguire salari stanno crescendo.
Il vero rischio oggi è che all’aumento dei prezzi segua un forte rallentamento dell’economia. Il peggior scenario per analisti e buon senso: aumentano i costi per bollette e alimenti e si riduce il reddito e l’occupazione per i cittadini. Un cocktail micidiale.
È quello che sta avvenendo in Italia e che fingiamo di non vedere. Ma è lì che morde nel mercato, molto lontano dai palazzi della politica. Che ancora brinda per la crescita del 2021. Eccezionale, ma che ha permesso di recuperare meno dei due terzi del terreno perso durante le chiusure imposte dai governi causa pandemia. Ci spieghiamo meglio. La crescita del Pil 2021 e quella, ancora ottimistica e pari al 3% prevista per quest’anno, non riporteranno la produzione e la ricchezza italiana ai livelli del 2019. Quando sentite i politici brindare, ricordate loro che rischiano di farlo sulla prua del Titanic.
L’economia sta bruscamente frenando. E ben prima della guerra. Certo, come notava ieri Confcommercio, un Paese turistico come il nostro rischia di pagare il prezzo più alto. I primi segnali ufficiali sono arrivati a gennaio, quando la produzione industriale era crollata. I costi dell’energia stavano già mettendo in ginocchio buona parte della manifattura energivora (carta, ceramiche, acciaio, vetro) e ancora parlavamo di transizione energetica, come Maria Antonietta discettava di brioches.
Insomma, oggi in capo all’agenda di ogni governo occidentale, e nostro a maggior ragione, ci dovrebbe essere l’emergenza economica. Per risolverla non basteranno i dpcm e i soldi pubblici (100 miliardi di maggior debito fatto in pandemia) rischiano di scarseggiare. Inflazione che galoppa, conti che già prevedono deficit al 6% e produzione industriale che rallenta, dovrebbero essere un campanello d’allarme da non sottovalutare.
Nicola Porro, Il Giornale 2 aprile 2022