Quali sono gli stereotipi di genere che ancora oggi pesano in Italia? Come sta cambiando la percezione degli italiani sul maschile e il femminile in casa, al lavoro, a scuola o nel tempo libero? A queste (e a tante altre) domande ha provato a rispondere lo studio dell’Osservatorio “Genere e Stereotipi” promosso da Henkel Italia in collaborazione con Eumetra. Quello che ne emerge, dice Mara Panajia, Presidente e Ad Henkel Italia, è “una realtà preoccupante, forse più radicata di quanto ci aspettassimo”. Ovvero il persistere di disuguaglianze di genere che “continuano a limitare l’espressione delle potenzialità di uomini e donne, anche tra le nuove generazioni”.
Mara Panajia, partiamo da qui: perché promuovere questo osservatorio?
“Nella prima edizione, nel 2022, abbiamo cercato di capire quale fosse la ripartizione delle incombenze domestiche nelle famiglie italiane, anche per analizzare se vi fossero davvero degli stereotipi di genere radicati. E in effetti, ahimè, abbiamo scoperto che è proprio così. Poi il progetto ci è piaciuto così tanto che lo abbiamo ripetuto per osservare se nel tempo vi siano state delle evoluzioni, approfondendo l’analisi anche sugli stereotipi di genere in ambiti come scuola, tempo libero, lavoro e sport”.
Lei è una donna e viene dal Sud, eppure guida una grande azienda. Potremmo dire che lei certi stereotipi li ha sicuramente infranti…
“Sì, ma li ho vissuti sulla mia pelle”.
Mi faccia un esempio.
“Quando si è trattato di scegliere l’università, avevo di fronte molte strade. Venivo da studi classici ma per i professori avrei potuto scegliere qualsiasi facoltà, anche di materie scientifiche. Sognavo di diventare ingegnere. Ma uno zio disse a mio padre che si trattava di ‘un lavoro da uomini’ dovendo andare per cantieri. È stato un consiglio a fin di bene, e mio zio probabilmente pensava di proteggermi, però in qualche modo ha condizionato la mia vita. Certo: sono contentissima di dove sono arrivata oggi. Anzi: forse devo ringraziare zio Aldo per quel consiglio. Però ha sicuramente influenzato la mia vita sulla base di uno stereotipo e di un pregiudizio”.
E all’università?
“Quando sono arrivata a Milano da Reggio Calabria, i miei colleghi di studi erano ‘sorpresi’ di come fossi. Sembrava quasi che si aspettassero una donna del Sud vestita di nero e col velo. Esistevano dei pregiudizi molto forti”.
Intanto però l’occupazione femminile in Italia è ferma al 55%.
“È un tema che mi sta molto a cuore. Dico sempre che una donna che lavora è una donna più libera, che consuma di più e che può mette al mondo più figli”.
I risultati dell’Osservatorio “Genere e Stereotipi” promosso da Henkel Italia
Un altro enorme tema è quello del gender pay gap, la differenza di retribuzione tra uomini e donne. A che punto è l’Italia? E Henkel?
“L’Italia è molto indietro, sebbene si tratti di una questione mondiale. Nessun Paese, nemmeno il più evoluto, nemmeno tra i paesi scandinavi, ha raggiunto la piena parità salariale. C’è molto da fare, soprattutto nel Belpaese. In Henkel monitoriamo costantemente con l’ufficio del personale, soprattutto a livello manageriale, la nostra situazione. Esiste ancora uno scarto, certo, ma è spiegabile: in alcune posizioni dirigenziali elevate, la media degli stipendi degli uomini è più alta per un banale discorso di anzianità, essendo le donne in questo comparto mediamente più giovani. A livello di junior manager, invece, non ci sono disparità. Ma vorrei sottolineare un altro aspetto”.
Prego.
“Come Henkel misuriamo costantemente questi dati. Non ci nascondiamo dietro frasi di circostanza. Sappiamo perfettamente dove siamo e dove vogliamo arrivare. Proprio pochi giorni fa abbiamo stilato un piano d’azione per non lasciare nulla al caso”.
Vi siete anche dati un obiettivo ambizioso: la parità di genere nei ruoli manageriali entro il 2025.
“Sì, non sarà facile arrivarci. Ma siamo sulla buona strada e l’importante è essersi dati un obiettivo chiaro da raggiungere”.
Che cosa fate, concretamente?
“Ci siamo dati una regola: per ogni posizione lavorativa aperta, prendiamo in considerazione curriculum al 50% di uomini e al 50% di donne. Ci sono state alcune selezioni rimaste ferme per diverso tempo finché non siamo riusciti a raggiungere questo equilibrio iniziale. Poi si procede per merito, ovviamente, ma è fondamentale garantire pari opportunità nei processi di assunzione”.
Secondo la ricerca, il 33% delle donne dà priorità alla famiglia e non alla carriera. Lei invece ha fatto una scelta coraggiosa, lavorando all’estero per cinque anni e lasciando la famiglia in Italia. Perché molte donne si ritrovano questo freno a mano tirato?
“Sicuramente esistono delle barriere interne, personali. Molte di noi non si sentono abbastanza adeguate. Per arrivare a determinati livelli dirigenziali, occorre affrontare molti passaggi: non si viene promosse per il solo fatto di essere donne, il che sarebbe umiliante, quindi bisogna uscire dalla propria comfort zone, essere pronte a trasferirsi e magari a cambiare funzione. Insomma: occorre mettersi in discussione e non sempre le donne sono pronte a farlo”.
Forse perché spesso trasferirsi significa muovere anche la famiglia.
“Esatto. E non sempre è tecnicamente possibile per l’uomo seguire la moglie in carriera”.
Eppure sono moltissime le mogli che seguono il marito per lo stesso motivo.
“Infatti occorre che gli uomini entrino quest’ottica. Spesso, invece, sono in difficoltà nel convivere con una compagna che fa più carriera di loro. Mio marito, devo dire, non si è mai vergognato di questo. Anzi: quando ricevevo una promozione mi diceva sempre ‘Ok, prepariamoci alla prossima’. Però non sono tutti così”.
Ha avuto difficoltà a lasciare i figli?
“Molte volte mi sono chiesta se stavo facendo la scelta giusta. Un altro enorme tema infatti è quello dei ‘sensi di colpa’, che nelle donne sono fortissimi, soprattutto nella gestione dei figli”.
Parliamo di maternità. È forse uno dei momenti più complicati per una donna in carriera, che teme di interrompere per alcuni mesi un percorso di crescita professionale e di essere così penalizzata rispetto ad un competitor uomo. Cosa fa Henkel in merito?
“Quando studiamo il piano di carriera per i nostri manager e dirigenti non vediamo la maternità come uno ‘show stop’, ma la consideriamo una parte del percorso. Se scelgo la persona giusta per un ruolo, con le competenze adeguate, non sono cinque o sei mesi di maternità a cambiare il giudizio. Inoltre in Henkel incentiviamo lo smart working, che vale per tutti, e può risultare molto utile in certi momenti della vita. E siamo molto attenti da un punto di vista salariale: non verrà mai negato l’aumento ad una donna solo perché si è dovuta fermare qualche tempo per il parto”.
Uno dei vostri obiettivi è superare il concetto di “maternità” per lavorare sulla “genitorialità”. Come lo attuate?
“Abbiamo esteso il congedo parentale per i neo-papà, portandolo ad un totale di 8 settimane, retribuito al 100%. Un significativo impegno per permettere ai padri di essere parte della vita dei loro figli sin dall’inizio”.
Concludiamo con una nota positiva. Secondo lo studio di Eumetra, l’80% dei ragazzi della Generazione Z crede che i lavori domestici debbano essere ripartiti equamente tra uomini e donne. È un segnale?
“È un dato positivo, che guarda al futuro. È bellissimo che i ragazzi si rendano conto di dover dare una mano, perché solo quando ci sarà una perfetta condivisione dei compiti ci potrà essere vera parità di genere”.
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