Cronaca

Eredità Agnelli, come gli Elkann hanno tradito Gianni

Dei fasti dell’Avvocato sono rimaste solo le macerie che in famiglia si contendono a forza di processi

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Homo homini lupus, altro che Agnelli. “Per quattro lire si stanno facendo a pezzi…”. Così Re Gianni, con l’altolocata erre moscia e il suo proverbiale cinismo, commenterebbe la guerra in casa che ora rischia di travolgere anche la governance del gruppo. Giulio Andreotti, dopo un fatto di cronaca, ebbe a dire: “Nessun nemico è più temibile del familiare incattivito”.

E la faida ventennale tra le dinastie Agnelli, Elkann e de Pahlen ne è la dimostrazione e certifica il crollo del mito di un’intera generazione cresciuta emulando lo stile inconfondibile dell’Avvocato: il Rolex Daytona o il più cool Eberhard 1950S sopra il polsino e gli scarponcini in camoscio indossati sotto impeccabili abiti gessati. Per non parlare della sua “fandom” di fedelissimi composta da Gawronski, Boniperti, Montezemolo, d’Urso e Malagò che tutte le mattine puntavano la sveglia all’alba per rispondere al mitico Spiro, centralinista di casa Agnelli, e raccontare al loro anfitrione le ultime breaking news.

Ma quella odierna è anche una lotta che vede il capoluogo piemontese, che tanto amò Donna Marella e Gianni, snobbare gli Elkann, rei di aver tradito la Fiat e Torino. Con la Procura che ora, intuendo dove soffia il sentimento popolare, non si fa più gli scrupoli di una volta allorché, già nel 1991, dirigenti di primo piano come Vittorio Ghidella e Antonio Mosconi riferirono di una contabilità parallela – nome in codice Pivot – occultata nella banca cara alla famiglia, il Credit Suisse. E siccome evidentemente non solo il lupo, pure l’agnello non perde il vizio, oggi John Elkann nasconde documenti contabili nel locale caldaia della sua magione così come la Mediobanca di Cuccia nascondeva i bilanci di Gemina nelle botole del palazzetto di via Filodrammatici.

Una pratica, quella di “Jaki’”, che ha fatto arrossire quel che resta della Torino bene, divisa tra la Collina di Cavoretto e l’esclusiva Società del Whist, il cui statuto fu vergato nientemeno che da Cavour. Nei giorni scorsi a intercettare John è andata persino la troupe Rai di Bruno Vespa, facendo volare un drone sopra la sua villa torinese. Il colmo è stato vedere l’editore de La Repubblica minacciare querela a Porta a Porta laddove, da sempre, il suo giornale fa scempio della vita degli altri.

Ma tornando all’adagio del Divo. Al confronto del più feroce dei nemici, il familiare possiede un’arma letale: conosce vizi e virtù del focolare nonché i segreti più reconditi. Dopo la morte di Gianni nel 2003, Margherita, la figlia superstite dell’Avvocato e della Principessa Marella Caracciolo, madre di John, Ginevra e Lapo Elkann, accetta di essere liquidata e “uscire di scena”, ricevendo un conquibus di oltre un miliardo di euro.

Nella buonuscita è compresa anche la storica tenuta di Villar Perosa  –andiamo a veder la neve a Villar”, diceva l’Avvocato al suo elicotterista – e la casa di Roma di via XXIV Maggio, vicino al Quirinale. Uno splendido appartamento con vista mozzafiato sulla Capitale dove Gianni riceveva un’umanità variegata, da first ladies come Jacqueline Kennedy a reginette di turno, offrendo loro una compagnia deliziosa ma solo un pasto frugale, tanto da far dire ironicamente a più di un ospite, Alberto Sordi in testa: “dopo se và a magnà”.

In quel momento, la scelta di Margherita, assillata dai soldi e terrorizzata di finire travolta dal crack del gruppo, poteva essere giustificata: la Fiat navigava in acque molto agitate e nulla faceva prevedere l’incredibile turnaround della gestione di Sergio Marchionne, morto improvvisamente nel 2018 e, forse, ancora più velocemente dimenticato. La signora – che dal secondo matrimonio con Serge de Pahlen, aristocratico francese di origini russe del quale si narrano i rapporti con la galassia di Putin, ha avuto altri cinque figli – rinnega in seguito tale accordo perché, a suo dire, le sarebbe stato nascosto un vero e proprio tesoro custodito in paradisi fiscali. Compreso “l’oro del patriarca Senatore Giovanni”, i lingotti sui quali tanto si è favoleggiato e che sarebbero stati i proventi della Fiat durante le due guerre mondiali.

Da qui, la prima azione legale (2007) che si conclude nel 2015 con un nulla di fatto per Madame de Pahlen, che però resta convinta delle sue ragioni. Nel 2019 muore Marella e Margherita, nel 2020, avvia una nuova istanza a cui tiene più della prima, chiedendo questa volta “che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del testamento della madre”, in quanto, a parer suo, non rientrante nell’accordo, così da risultare lei l’unica erede legittima.

I tecnicismi giuridici della causa ereditaria mossa da Margherita sono molteplici e complessi. Rincarando ancor più la dose, nel 2022 deposita un esposto alla Procura di Torino, cui segue un processo tutt’ora in corso, che si va ad intersecare con gli altri procedimenti, relativo anche all’accertamento della residenza di Marella, se in Italia o in Svizzera – dove ha vissuto molti anni come una regina in esilio, trascorrendo il tempo a curare i suoi giardini e le collezioni d’arte o guardando le partite di un’altra vecchia signora, la Juventus, anch’essa travolta da ogni genere di scandalo. Marella, tra l’altro, effettuò cessioni, transazioni, donazioni a favore del nipote John, così da fargli ottenere il 60% della cassaforte “Dicembre”, con Lapo e Ginevra a detenere il restante 40%. Il controllo del gruppo, qualora Margherita vinca, rischia quindi di essere stravolto.

Gli aspetti penali “svegliano” pure l’Agenzia delle Entrate che comincia a indagare su un patrimonio “off shore”. Per la figlia dell’Avvocato sembra che conti solo l’accertamento della violazione di un diritto suo e dei figli di secondo letto, sebbene le cronache raccontano che, con la sua primogenita Maria, da molti anni non ha più rapporti. Margherita vuole avere conto anche della “misteriosa sparizione” di alcuni capolavori di famiglia di cui l’Avvocato è stato, assieme alla moglie, un grande collezionista d’arte. Intanto ha messo in vendita Villa Frescot, iconica cornice di incontri, da Henry Kissinger a Michel Platini a Claudio Abbado, nonché la casa più amata dal padre, che qui è vissuto e morto.

Sir Francis Bacon diceva: “Le famiglie importanti sono come le patate. Le parti migliori sono sottoterra”. Chissà Gianni come si sta rivoltando. Sic transit gloria mundi.

Luigi Bisignani per Il Tempo 24 marzo 2024

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