Se un focolaio Covid non ha decimato un reparto della polizia schierata a difesa del G20, lo si deve solo alla solerzia degli agenti. “Sono risultato positivo e menomale che me ne sono accorto poco prima di andare in hotel”, racconta a nicolaporro.it un agente chiedendo l’anonimato. “Qui ci fanno dormire in alberghi con camera doppia, con un unico bagno e i letti troppo vicini. Io sono vaccinato, ma mi sono sottoposto a tampone per scrupolo nei confronti del collega. Se non lo avessi fatto, pensa che contagio a catena si sarebbe verificato”.
Sabato e domenica a Roma ci sarà il pienone. Oltre al G20, con i capi di Stato e di governo radunati alla Nuvola di Fuksas, sono previste diverse manifestazioni no pass, la presenza di anarchici e forse alcune sortite dei black bloc. Il Viminale ha previsto un dispositivo di sicurezza mastodontico, con 5.296 unità di rinforzo al personale dei presidi territoriali. Arriveranno agenti, carabinieri, finanzieri e soldati da tutte le parti d’Italia, con quattro zone rosse, cecchini sui tetti e droni a sorvolare la Capitale.
Il green pass? “Inutile”
Tra gli oltre cinquemila agenti richiamati nell’Urbe c’è pure Mario (lo chiameremo così per proteggerne l’identità). Come tutti i lavoratori, anche le divise possono iniziare il turno solo se in possesso del green pass. Chi non vuole vaccinarsi, ogni 48 ore si sottopone al tampone, dunque è sicuro di essere negativo. Per tutti gli altri invece si dà per buona la protezione del siero anti Covid. Peccato che – come dimostra il caso di Martina Colombari – essersi fatti inoculare Pfirzer non garantisca dal pericolo di infettarsi e trasmettere il morbo. “Dovrebbero monitorarci con i tamponi – spiega Mario – ma nessuno mi ha chiesto un test per venire a Roma. L’ho fatto a mie spese, per scrupolo, anche perché non avevo alcun sintomo”. Molti agenti, secondo quanto ci risulta, stanno facendo lo stesso: hanno il green pass, ma non si fidano. Così corrono in farmacia, si pagano un tampone rapido nella speranza di salvare la squadra da un possibile contagio a catena. “Il green pass non ti salva dall’infezione – dice Mario, realista – Per questo non serva a nulla. È sempre opportuno farsi un test: con il green pass adesso la gente pensa di avere uno scudo protettivo. Ma non è così che funziona”.
A far infuriare i poliziotti c’è anche un altro fattore. Da giorni i sindacati si lamentano con Lamorgese e con la prefettura capitolina a causa degli alloggiamenti dedicati agli agenti di rinforzo arrivati da altre regioni. Qualcuno è finito a fianco di un campo rom. Altri devono mangiare stipati come sardine all’interno di mense troppo piccole. Quasi tutti ritengono che le norme Covid siano andate a farsi benedire. In fondo basta guardare le fotografie degli hotel: secondo circolare del Viminale, gli operatori dovrebbero dormire in stanze singole e se proprio non è possibile, i letti dovrebbero essere almeno distanziati due metri. Non sempre accade e comunque i bagni sono in comune: va bene che son quasi tutti vaccinati, ma se uno dei due si becca l’infezione potrebbe passarla anche al compagno di stanza e a seguire a tutti gli altri della squadra (stessa mensa, stessi mezzi). “Potevo tranquillamente non fare tampone a mie spese – dice Mario – perché ho il green pass da vaccinazione. Ma la mia è stata una scelta sociale, dovendo dividere bagni quasi sempre ciechi con un altro collega”. Se non lo avesse fatto, se si fosse fidato del lasciapassare, avrebbe magari rischiato di costringere alla quarantena non pochi poliziotti. Con buona pace per la sicurezza del G20.