Se la comunità Lgbtqia+ fosse davvero una comunità, una riunione dei diversi ma relativamente solidali, non avrebbe bisogno di scomodare tutte le lettere dell’alfabeto e neanche bastano, ci vuole il “più” a simboleggiare la continuità perenne, l’esubero di chi non sa dove andare, ma va, nel marasma che fine non ha. Infatti è una accozzaglia di tribù riottose, isteriche, perennemente sul piede di guerra al loro interno non meno che contro il mondo. Tutto il contrario di una koinè, se mai un miscuglio di sette ciascuna coi suoi santoni, imbonitori e narcisi. Non rappresenta nessuno perché non si sa che sia, deliberatamente non ha confini e perciò risulta impossibile ricondurre questa nube vaporosa e perennemente sbuffante a un contesto preciso.
Certo non gli omosessuali, che non meritano solidarietà perché la solidarietà è figlia del compatimento, della tolleranza e invece se Dio vuole qui non c’è niente da tollerare, l’omosessualità essendo finalmente rientrata nell’alveo di una consuetudine sociale, grazie, va reso atto, alle continue battaglie di una sinistra che però ha potuto farle inserita nel contesto democratico e consumistico che gliele ha consentite. Neanche il genderismo da baraccone merita solidarietà, per le ragioni opposte: non è civile, non è acquisito, è pura fuffa o truffa di arrivisti e di pagliacci, pretesto vittimistico o provocazione senza sbocco, per abuso, per inflazione provocatoria. I due consiglieri di altrettante liste civiche che si presentano al consiglio comunale di Ancona in sandali dai tacchi a spillo, pur di sfilare in periglioso incedere, da traballando con le stelle, lo sanno; sanno che il loro gesto è stupido, ma lo fanno: non passeranno alla storia ma alla cronachetta spicciola sì, poi magari ci scappa dell’altro, un’ospitata, un reality.
Ma la politica, anche quella “d’abord”, che viene prima di tutto, non è forse questa, non si pratica con simili mezzi e mezzucci? Anche questo i due esibizionisti comunali lo sanno o almeno lo percepiscono: che volevano? Protestare contro l’uscita di una collega meloniana responsabile di una polemica anch’essa usurata, uomini vestiti da donne “e questi dovrebbero difenderci in guerra?”. Sì, certo, sentita mille volte, ma lasciagliela dire! Invece no: questi debbono mettersi in tacco 12 e chiamare i telefonini, mettersi in posa, sempre quel prendersi sul serio senza un minimo di serietà, sempre quel pretendere dignità all’insegna della buffonaggine. Non c’è autoironia nel cupo indefinito universo Lgbtqia+, c’è una suscettibilità che non sai mai se patologica o paracula tanto per far parlare. Ai “pride” possono provocare, come dicono loro, in tutti i modi, possono coinvolgere bambini, scadere in liturgie oltre il blasfemo, ma al minimo accenno di sarcasmo che li raggiunge partono con le sceneggiate, si paragonano ai deportati, ai martiri cristiani.
Ne deriva una gran noia, un che sempre come di stantio, di logoro; ecco, diremmo che il movimento, in senso lato, non binario si sia fagocitato da solo a forza di esibizioni circensi, di trovate sempre più sopra le righe, oscene ma senza più scena. Là dove la sensibilità omosessuale suggeriva un regno incantato, inquietante ma attraente, di attitudini spiazzanti, di gusto a volte supersnobistico, altrimenti pacchiano ma divertente, “kitsch”, come lo si chiamava, l’alfabeto woke sa offrire solo il vuoto cartoonizzato, orfano di qualsivoglia ambizione contestuale. Non conoscono i riferimenti colti non gli interessano, l’orizzonte è puramente estetico ed è quello influencer, c’è un tale, dalla professione mai chiarita, forse estetista, dato per antico amante di Corona, che ormai è incatalogabile, non si può più dire se sia maschio o femmina, se provenga dall’uno o dall’altro sesso, e in quale direzione, ogni tanto sparisce, per ulteriori aggiustamenti, e quando riappare è ancora più improbabile, sembra una di quelle bambole economiche che emulano le Barbie ma riuscite male, coi lineamenti vagamente animaleschi o alieni.
La sconfinata, radiosa tradizione queer o comunque omosessuale alimentata dai filosofi greci, dei pensatori latini, su su fino ai limiti della pop art, completamente disattesa, rinnegata: un tradimento drammatico e una perdita culturale e artistica enorme, di cui il Barnum attuale e non sembra preoccuparsi, forse perché meno si sospetta e più contenti si vive. Lo spettacolo dei due consiglieri che arrancano fino ai loro posti, a vederlo non induce né compatimento né solidarietà; suscita un che di agghiacciante, un gelo silenzioso che parla della fine del senso, della logica, è il gelo dell’imbarazzo di fronte alla feroce, ma disperata, determinazione di due nessuno ad uscire dall’anonimato. E in qualche modo ci riescono se siamo qui a parlare di loro, ma fino a quando?
Una pantomima che non arriva a niente perché parte da niente, si esaurisce in sé, nella vanità frivola di chi se l’ha immaginata. Pochi secondi di sconforto, e il mondo ricomincia a girare senza avere mai smesso. “Prima di sedersi ai loro posti, i due consiglieri si sono tolti i tacchi (sic)”. Perché gli stavano scomodi o perché se ne mortificavano un po’?
Max Del Papa, 23 ottobre 2024
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