Da questi mesi allucinanti, dalla pandemia più pazza del mondo usciamo, se ne usciamo, con alcune sconfortanti conferme: l’incapacità di un governo di avventizi, l’arroganza delle caste di potere, manager, commissari, task force, la rapacità dei virologi a tassametro: tutta gente che ha brillato per tracotanza, dalla spocchia inversamente proporzionale alla competenza. Ma fosse solo questo, passi, ci siamo abituati. Il lascito più torbido, più lugubre è la facilità con cui ci hanno ucciso la libertà. Ridevamo di questo avvocatino della profonda provincia, abituato alle frequentazioni giuste, allo slalom gigante della carriera: una volta preso il potere, questo premier di laboratorio si è rivelato spietato nel gestirlo.
Decretazione sistematica, col pretesto della situazione eccezionale; Parlamento chiuso; opposizioni di fatto private della loro funzione; conferenze stampa continue all’insegna del populismo aggressivo che è il tono inconfondibile dell’autocrate; continue bugie, spacciate per realtà; norme insane, fatte apposta per non essere comprese; cittadini repressi, controllati, schiacciati con la strategia del terrore, prima lasciati allo sbando in virtù di valutazioni sciagurate di stampo ideologico, poi incamiciate nella paura crescente.
Il potere, quando diventa regime, si esalta e si autoalimenta. Ne è derivata una serie di conseguenze spaventose: le forze dell’ordine trasformate in gendarmi, in sbirraglia, gli inseguimenti coi droni, le multe pazzesche a invalidi con una sola gamba, malati, anziani, donne col cagnolino, bagnanti in totale solitudine; la propensione degli zelanti, che non mancano mai, alla delazione, la carognaggine, i regolamenti di conti tra vicini; gli artisti a sovvenzione statale, quelli che “ci fanno tanto divertire” secondo il presidente del Consiglio, ai quali lanciare l’osso sotto al tavolo, che si sdebitano con scrupolo zdanoviano, da socialismo reale, nel vergare appelli di obbedienza al regime, nello scagliarsi contro le opposizioni imbavagliate, nel pretendere ulteriore isolamento, altre mascherine, altra psicosi, lo sdegno classista verso i poveri, senza giardini privati e seconde ville ove smaltire mollemente la clausura.
Altre conseguenze, fatali nel tempo distopico dell’angoscia: i media spalmati come non mai, le intimidazioni o la maleducazione verso i pochi che non si adeguano, che pretendono di fare domande, di eccepire, il trionfo della metastasi burocratica che complica l’impossibile, la gara a chi s’inventa espedienti concentrazionari ancora più estremi, ancora più alienati. Un giornalista va in televisione a dire che “è chiaro che c’è una sospensione della Costituzione, lo sappiamo tutti”: è roba da rivoluzione ma nessuno fiata, men che meno il presidente della Repubblica che sulla Costituzione dovrebbe vigilare. Si sentono, si leggono cose turche. Un commentatore bollito dice senza imbarazzo che Conte, premier in batteria, gli sta simpatico “perché rappresenta lo Stato”. Affermazione da fare accapponare la pelle, anche Hitler lo rappresentava. Ma forse lui pensa a Castro, a Lenin, a PolPot, a Mao.
Sì, se ne sono viste e sentite di aberrazioni in questi mesi di sbando e di follia. E, quel che è peggio, sono state tutte digerite, tutte metabolizzate. L’esperimento sociale è riuscito, c’è gente senza più nessuna voglia o forza di ripartire, di uscire, anziani atterriti che non respirano l’aria libera da tre mesi e si sono abituati a farlo, sudditi che girano in mascherina anche da soli in macchina o in spiaggia, davanti al mare che esala salmastro. Paese peggio che in ginocchio, paese al tappeto e il peggio deve ancora venire, abisso economico, sociale, anche morale e spirituale.