Come vi abbiamo raccontato nella Zuppa, ieri Massimo Giannini, ex direttore della Stampa, oggi retrocesso a editorialista di Repubblica, ha attaccato la “capocrazia” di Giorgia Meloni colpevole di proporre una “idea malsana di Stato Padrone”, il tutto solo per aver affermato una banale verità, ovvero che il quotidiano di Maurizio Molinari è di proprietà di un editore, la famiglia Elkann, con legittimi interessi privati. “Fattuale”, direbbe Vittorio Feltri. Gli eredi di Eugenio Scalfati se la sono presa con il premier, con Palazzo Chigi, con le “telecamere complici di Rete4”, oltre che con i “turiferari della stampa di regime” e con “i latrati della famelica muta di cani” (parla come magni) .
Per la precisione, Giannini il Massimo ritiene che “il manganello meloniano” si abbatta solo sui “pochi presidi informativi ancora indipendenti”, ovviamente quelli di sinistra, gli unici titolati a fregiarsi del bollino della libertà di informazione. Affermazione che tradisce un certo pregiudizio verso tutti i colleghi “non di sinistra”, considerati in sostanza alla mercé del potente di turno. E che smentisce quanto affermato poche righe prima, ovvero che i giornalisti non sono automaticamente “pierre” o “utili idioti” del loro editore.
Evidentemente, però, il ragionamento del fu direttore della Stampa vale solo per gli amichetti suoi e tradisce un certo classismo nella categoria, dove alla base della piramide vi sono servi e lacchè “di destra” e al vertice gli Unti dal Signore del Verbo progressista. Non a caso, quando fu Dario Franceschini a insinuare che Maurizio Belpietro non fosse un professionista indipendente, nessuno osò prendere le sue difese e quelle della “libertà di stampa” goffamente finita nel mirino del potere politico.
Oggi ci ha pensato Alessandro Sallusti a rispondere a tono. Nel suo editoriale, il direttore del Giornale prima ricorda “il record stagionale di copie perse per eccesso di trombonaggine e stupida faziosità” da parte del Giannini direttore; poi evidenzia come chi oggi fa la predica sull’indipendenza sia stato “al soldo” di Carlo De Benedetti prima e del turbo capitalista John Elkann poi; ma soprattutto, sottolinea l’isteria di una certa sinistra, editoriale e politica, che senza più voti all’attivo per non scomparire è stata costretta a galleggiare attaccata ai vari Monti, Conte e Draghi e a diventare per disperazione “massimi esperti di fascismo, gay e trans oltre che adoratori e sponsor di una chiesa che va dai Soumahoro ai Ferragnez“.
Per Sallusti, questo “manipolo di perdenti cronici (nelle urne e nelle edicole)” sta provando “a ergersi a maestri di vita dispensando pagelle a destra (e non a manca) con argomenti da osteria e toni da crisi isterica (su di noi il giudizio è: «latrati di una famelica muta di cani»)”. Ma “essendo ignoranti a La Repubblica non sanno che i cani lupo emettono latrati non per spaventare qualcuno ma solo per farsi sentire più forte e lontano. Stando così le cose, cari colleghi frustrati, lo consideriamo un complimento”. Colpito e affondato.
Franco Lodige, 26 gennaio 2024