I problemi del circo mediatico cannibale sono due. Primo, che qui nessuno fa più quello che deve e tutti fanno quello che non pertiene loro. L’informazione diciamo certificata avendo abdicato al proprio ruolo di cerniera democratica tra il potere e il volgo, con la bella conseguenza che tutti corrono dietro a chi non è del mestiere, non ha alcun sospetto di come si faccia, si muove come l’elefante in una nursery.
Palettare, influencer, intriganti, imbecilli assortiti: e i giornalisti gli vanno dietro, non raccontano più la concretezza dei fatti ma i miraggi e i deliri di questi spaventapasseri, la loro megalomania, la realtà allucinata, filtrata dal delirio di onnipotenza. Chi sa dire perché uno chef, un cuoco da Instagram si mette in testa di fare il giustiziere di recensioni, sospinto da una in fama di coscienza critica fra un varietà e una polemica stupida, una che solleva palette di etica e di danza, di coscienza e di estetica? Ma i giornali di regime non se lo chiedono, lo danno per acquisito, rinnegano la loro funzione e se ci scappa il morto, travolto dalle Gaza personali tra questi patetici, lugubri influencer, dicono: è successo, è andata così. E passano al prossimo.
L’altro problema è l’amichettismo. L’amichettismo influencer. Figlio del primo guasto, tutti che si sentono in diritto dovere di dire la loro anche se non hanno nulla da dire. Così, per osmosi. Per amichettismo. Siccome le/gli influencer, ma la distinzione articolare è vana trattandosi di celenterati senza caratteri sessuali definiti, siccome non sono provvisti di pensiero autonomo, non resta loro che abbeverarsi alla comunicazione basilare di regime che mette insieme banalità, cartoni animati e allegre mistificazioni.
C’è, per dire, questa Estetista Cinica, ma sarebbe meglio clinica, che ovviamente interviene su una testata di regime per una di quelle false interviste che celano la sovrastruttura. Lei viene illustrata così: “Un milione di follower e 70 milioni di fatturato”. Per fare che? Non si sa, non si capisce. Estetista Cinica rileva in quanto amica dei Ferragnez e come tale li difende con argomenti commerciali, da sovrastruttura pubblicitaria, totalitariamente aproblematica; il suo riflettere riflesso nello specchio non esiste e non consiste, è un rosario di frasi fatte, di luoghi comunissimi e vagamente comunisti ossia del classismo elitario populista, che si possono riassumere così: noi famosi non dobbiamo rispondere di niente a nessuno, noi famosi abbiamo diritto alla franchigia. Poi a regolarci, a darci la morale ci pensiamo da soli. Come i magistrati e i fact checker.
Non ci sono domande, questioni, opinioni; c’è il solito approccio del giornalismo di oggi, “dimmi quello che vuoi, parlami di te”. La estetista non si fa pregare: io sono, io faccio, “ho 50 anni e sono famosa”, l’amica Chiara ne ha 30 e sconta il peso del malanimo, dei poveri, dei non famosi, a tutti può succedere di fare qualche cazzata, non è vero? L’etica, questa sì cinica, ma forse nemmeno percepita, è la solita: in fondo che ha fatto. E si evita accuratamente di specificare cosa ha o avrebbe fatto: cose turpi come fare cassa, e grossa, sui crani pelati dei bambini oncologici, spacciare un cuore avariato, millantare sistematicamente compassione, il tutto, altro segreto di Pulcinella, gonfiando un parco-imbecilli, i follower, la metà dei quali parrebbe falsa o addirittura inesistente. 14 milioni di fantasmi. In fondo, che sarà mai.
Ma non è un fatto giudiziario, le indagini, i processi, le condanne, improbabili per i ricchi e famosi per essere famosi, i suicidi, le recensioni, questa è tutta roba che conta poco, per non dire zero, affari dei magistrati e dei Codacons, dei Garanti, degli influencer che si scannano tra loro perché sono uguali. No, restiamo alla sostanza. Bocce ferme, le cose stanno come stanno. Questa cinquantenne che epicizza se stessa, “all’inizio intervenivo come al bar con le amiche”, “non si può incolpare Selvaggia [amichettismo] per quello che è successo”, proprio così dice, ricorda, ogni due parole, che lei è della cerchia, è una più o meno famosa, anche se la fama è gassosa, è di schiuma.
Insomma esercita la promozione commerciale sulla quale l’Ordine dovrebbe intervenire e invece si volta dall’altra parte, come quando provocatori in fama di giornalisti esultavano ed esaltavano le misure repressive, totalitarie di un regime sanitario pretestuoso e farabutto. Non bastando, la influencer deve trovare qualcosa di più sostanzioso e lo fa, questo è certo, compulsando la comunicazione pubblicitaria che va bene per la plebe: “E allora Giambruno? Cosa sarebbe successo se certe cose le avesse dette Fedez?”. Non ha alcun senso, neanche a cercarlo col lanternino come Diogene, ma non importa, anzi meglio, bisogna riempire l’aria, la pagina, e la logica analitica non si presta. Tirar dentro Giambruno è da folli o da stupidi.
Che c’entra Fedez? Anzi, dovendo proprio fare la fatica di seguire il delirio estetistico, questo succedaneo di rapper ha costruito la sua notorietà grazie all’impunità del volgare: una volta straccia le foto del gerarchetto, un’altra bacia quel Rosa Chemical del canzonettismo plebeo sanremese. Dai e dai, se va male si finisce in un vicolo con un ago fatale, se va bene si diventa bulli da social e si guarda il passato da city life. E il gioco può durare anche degli anni, specie se sposi, per affari, una dello stesso circo; alla fine però crolla perché è un gioco di carte. È la megalomania, è il delirio di onnipotenza a perdere questi avatar senza corpo. Ah, così tu vai dicendo in giro che sei più potente della struttura, del potere, che puoi prendere il controllo, che il capo dello Stato e del regime fa la fila per un selfie con te, che puoi farti eleggere come e dove vuoi (segnatamente, i rumors: Chiara per il Pd, Selvaggia coi 5 Stelle)?
Adesso vediamo. E basta un annoiato scatto dell’ultima falange del dito mignolo. Questi credono, tutti, di essere i Rolling Stones della situazione, ma ci passa il baratro che sta tra l’avere talento e il millantarlo, tra essere sistema e credersi sistema. Lasciassero perdere le estetiste amiche delle amiche: risalta solo la tragica inconsistenza di cinquantenni “un po’ famose”, dispenser di banalità hardcore come “si impara picchiando il naso. Se sei donna lo impari sulla tua pelle. Io vengo sempre chiamata influencer mai imprenditrice”. Fatti una domanda, non darti una risposta.
Max Del Papa, 18 gennaio 2024
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