Dopo l’imbarazzante tournée europea, Giuseppe Conte ieri ha concluso in bruttezza i preliminari del prossimo Consiglio Ue, prostrandosi alla corte di Angela Merkel. Dal vertice di Meseberg – e lo scriviamo con rammarico, perché la sua sconfitta è la sconfitta dell’Italia intera – il premier esce umiliato. Costretto addirittura a rivendicare con orgoglio il commissariamento che l’Europa prepara, quale condizione per attingere al Recovery fund: “Vogliamo che ci sia un costante monitoraggio” su come spenderemo i due spiccioli del finanziamento. Su questi, peraltro, la cancelliera, cui spetta il semestre di presidenza dell’Unione, non dà garanzie: non si sa per certo quanti saranno, quando arriveranno (probabilmente a 2021 inoltrato e a tranche), né se si chiuderà un accordo entro l’estate. L’impressione è che, pur di arrivare a settembre con uno straccetto di risultato che gli dia un po’ d’ossigeno, il fu avvocato del popolo abbia voluto lanciare un messaggio di resa incondizionata agli altri Stati membri: la mia sovranità per un cavallo. Di Troika.
Il punto più dolente, che Conte ha dovuto incassare, riguarda il ruolo del Consiglio: la Merkel ha ribadito che sarà, appunto, l’assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Ue ad avere l’ultima parola, a maggioranza qualificata, su come i fondi andranno impiegati. Il che equivale a consegnare un potere di veto ai Paesi frugali come l’Olanda di Mark Rutte, dal colloquio con il quale, l’altra sera, Giuseppi era riemerso paonazzo e stremato. D’altronde, l’avvocato era reduce da una serie di umiliazioni internazionali, con l’alleato Pedro Sánchez che ha respinto al mittente le pressioni di Roma affinché anche la Spagna accedesse al Mes, giustificando così il cedimento italiano.
Il presidente del Consiglio ha semplicemente raccolto ciò che ha seminato. Galvanizzato dai pieni poteri e consapevole che, in Aula, per i giallorossi l’incidente mortale è dietro l’angolo, ha scelto sin dall’inizio di presentarsi in Europa senza un mandato parlamentare. Il suo proposito era, semmai, rivolgersi a deputati e senatori a frittata fatta. Il risultato è stato disastroso: agli omologhi Ue s’è presentato un leader debole, spalleggiato da una maggioranza costantemente sull’orlo della crisi, ridotto a elemosinare un commissariamento di fatto e di diritto. Di fatto, poiché il Recovery sarà vincolato all’adozione delle misure raccomandate da Bruxelles all’Italia: Giuseppi ci ha raccontato quelle vendibili, come la digitalizzazione, però dentro quelle letterine ci sono pure l’abolizione di quota 100 e la patrimoniale. Di diritto, tramite il Mes, visto che i trattati che ne regolano il funzionamento rimarranno in piedi. Il prestito, tecnicamente inutile e comunque facilmente sostituibile da qualche asta di titoli (le ultime sono andate alla grande, con Bot piazzati a rendimenti negativi), ha solo uno scopo politico: neutralizzare un eventuale futuro governo di centrodestra.
Pensate, inoltre, quale peso negoziale potrà avere una nazione piegata in due sulla questione migranti. Gli sbarchi sono ripresi, negli ultimi giorni sono arrivati in più di 1.200, alcuni infetti; in Calabria la popolazione è in rivolta, a Lampedusa e Porto Empedocle la situazione è esplosiva. Se già normalmente i nostri partner europei facevano orecchio da mercante, è logico aspettarsi che, alla luce degli “aiuti” erogati, abbiano la scusa per lasciarci definitivamente soli.