Dedico a Twitter un paio d’ore al giorno, in particolare seguo seriamente appena 265 following, metà élite, metà persone comuni, solo per capire i trend. Per un innato senso di pudore ho difficoltà a interloquire in rete, l’unico con cui scambio tweet è l’amico Marco Cobianchi, (sarà perché mi chiama Maestro e in rete mi dà del lei?), da lui ho imparato a dividere le notizie, tra vere (poche) e supercazzole (tutte le altre). Per noi due la politica, l’economia, la vita sono letti con gli occhiali della leggerezza, dell’ironia, del divertissement. Ci siamo messi fuori gioco, e viviamo in rete felici.
La settimana passata, le élite twittanti l’hanno dedicata alla presunta uscita dell’Italia dall’euro, dall’Europa, fanno spesso confusione fra i due eventi. Da quando i loro partiti di riferimento hanno perso referendum e politiche, si sono incattivi, allora dardeggiano gli avversari, specie in rete, di male parole. “Cialtroni” è il termine più usato dalle élite, con volgarità varie sui loro curricula. A proposito dei curricula, devo riconoscere che sanno leggere i CV, come li chiamano loro, in modo spietato. Sbagli la collocazione di una virgola, un aggettivo è incongruo, hai un eccesso di vanità accademica e no, e subito precipiti nel girone dei barboni del web. A me è andata bene, molti anni fa ebbi l’intuizione di rendere pubblico il mio CV, scrissi che, avendo fatto molti traslochi, avevo solo la documentazione del conseguimento della licenza elementare a 11 anni a Torino e una laurea H.C. in Laws della Loyola University di Chicago a 62 anni. In pratica, non avendo fatto null’altro, sapevo solo leggere, scrivere, lavorare.
Questa accusa, ripeto accusa, che un vecchio accademico come Paolo Savona brighi perché l’Italia esca dall’euro, dall’Europa, non sta in piedi, prima di tutto tecnicamente. Il referendum popolare non è ammesso, l’Italia ha firmato contratti fatti a regola d’arte, al punto da essere tutti capestro, e un paese serio i contratti li rispetta, stante che il non rispettarli sarebbe troppo costoso comunque. Dall’Europa, dall’euro, nessuno può uscire, punto. Certo si può non cedere sovranità e fare gli interessi nazionali come fanno Germania e Francia.
Se va come penso, sarà la Germania ad andarsene. Parlo a titolo personale, considerandomi, come diceva Georges Bernanos, “un uomo medio restato libero”. Il mio gradimento dell’Europa (la vedevo come una grande Svizzera) è sempre stato alto, perché a Bruxelles non erano state affidate competenze rilevanti, ma soprattutto al centro della discussione politica rimanevano questioni di carattere nazionale. Infatti le elezioni europee passate erano scontri che servivano a consolidare o a indebolire il governo nazionale. Da qualche tempo tutto è cambiato: 1. L’Europa ha accresciuto sia i suoi poteri, sia la sua possibilità di influire sui sistemi legislativi. 2. Quindi ha suscitato una forte reazione avversa, perché molti cittadini si sono sentiti gabbati: con il loro voto non avevano delegato ai partiti nazionali di cedere sovranità. Questa irritazione è diventato il collante per la nascita di movimenti che rappresentano vieppiù la maggioranza non più silenziosa del Paese. Il caso Grecia, gestito in modo orrendo, la figura di Angela Merkel (si capisce lontano un miglio che parla di Europa ma le interessa solo la Germania e i suoi business), l’arrivo sul palcoscenico europeo del bonapartista Emmanuel Macron (focalizzato solo sulla sua vanità), sono stati colpi mortali per le élite europee.
L’Europa attuale è apparsa per quella che è: un progetto dirigista in crisi, frutto di una gestione elitaria, con leader nazionali pronti a cedere sovranità a eurocrati cooptati. Questi, ai quali è stata delegata l’execution sono per loro natura lontani dalla sensibilità della gente comune, orientati a imporre ovunque un certo modello di società e di diritto, l’orrendo Ceo capitalism in salsa europea.
Dal 1979, a cadenza quinquennale, abbiamo votato, a suffragio universale, per il Parlamento, riproducendo a livello europeo i partiti della nazione (socialisti-popolari). Auguriamoci che le elezioni del prossimo maggio siano un primo esempio di volontà popolare per capire quale Europa sia la più adeguata per le sfide prossime future. Ovviamente parlo per me, l’unico modello accettabile rimane la Confederazione svizzera e la democrazia diretta che la connota, con un largo uso di referendum popolari e l’euro al posto del franco.
Riccardo Ruggeri, 24 settembre 2018