Il voto europeo occorre guardarlo sotto una doppia lente. La prima, quella più logica, verifica l’andamento dei partiti europei in base alla loro famiglia politica, alle possibili alleanze per la formazione di una maggioranza per sostenere la prossima Commissione europea. La seconda, invece, più casalinga, riguarda la corsa di singoli partiti ad ottenere un voto in più di avversari ed alleati.
I partiti italiani
Partiamo dall’Italia. L’ultima rilevazione realizzata da Euromedia Research dà Giorgia Meloni in netto vantaggio sia su Elly Schlein che su tutti gli altri candidati. FdI viene data al 27%, un punto in più rispetto al risultato delle politiche di fine 2022 e ben sopra la soglia minima che la premier si è data per considerarsi vittoriosa. Subito sotto il Pd, distante quasi 10 lunghezze e fermo al 20,3%. Il M5S scende al 16,7%, la Lega è sotto le due cifre inchiodata al 9,2% ma sopra Forza Italia all’8,5% (effetto Vannacci?). Grande festa per i partitini che, stando al sondaggio di Alessandra Ghisleri supererebbero la soglia di sbarramento: Stati Uniti d’Europa col 4,5% incasserebbe 4 seggi, 3 a testa invece per Alleanza Verdi e Sinistra (Ilaria Salis inclusa) e per Azione di Carlo Calenda.
Le famiglie europee
Sin qui, tutto semplice. Più o meno. La storia si complica quando gli eletti dai partiti italiani andranno a Bruxelles a formare il parlamento. L’ultima proiezione di Europe Elects assegna al Ppe (di cui fa parte Forza Italia) ben 183 seggi, risultando dunque la famiglia europea più votata e che, con ogni probabilità, esprimerà il presidente della Commissione. La candidata ufficiale si chiama Ursula von der Leyen. A seguire c’è S&D, il partito socialista europeo cui aderisce il Pd, con 140 seggi. Renew, invece, la famiglia dei macroniani eleggerebbe 86 eurodeputati. Molti meno di cinque anni fa (-22), ma comunque allo stesso livello di Ecr guidata da Giorgia Meloni. Ad 84 seggi si fermerebbe invece ID, la famiglia che riunisce Afd, Marine Le Pen e Matteo Salvini. Tracollo totale per i Verdi che, colpa forse delle follie green, perdono 26 seggi rispetto al passato e si fermano a 48.
I dati pubblicati da Politico, autorevole quotidiano, di discostano leggermente ma la sostanza non cambia. Il Ppe otterrebbe 174 seggi, il Pse 144, i liberali 85, i conservatori 84 e Id di Salvini 70 seggi.
Chi sarà presidente della Commissione?
È evidente che la sinistra sia in calo, i verdi in crollo verticale e che Ecr e Id, i due gruppi conservatori, siano in netta crescita. E l’incontro “a distanza” tra Giorgia Meloni e Marine Le Pen di ieri lascia presagire un riavvicinamento tra le due donne forti della destra europea. Ma basterà questo per evitare una Commissione Verde 2?
Partiamo dalle regole. Il Consiglio europeo (capi di Stato o di governo dell’Ue) propone al Parlamento un candidato alla presidenza. Poiché la scelta del candidato deve tenere conto dei risultati delle elezioni europee, il candidato proposto proviene generalmente dal gruppo politico maggioritario del Parlamento. A quel punto, il Parlamento deve approvare il nuovo presidente della Commissione a maggioranza assoluta (la metà più uno di tutti i deputati) e qui entrano in campo i giochi politici all’interno delle famiglie europee.
La somma di Ppe, Socialisti, liberali e verdi – cioè l’attuale maggioranza – otterrebbe 457 seggi, più del 50% necessario a conferire una maggioranza alla Commissione anche se non così stabile (spesso in Europa i voti sono molto dinamici e all’interno delle stesse famiglie politiche non mancano scontri). Anche senza i verdi, tuttavia, la maggioranza “informale” che già oggi esiste all’europarlamento (popolari, socialisti, liberali) otterrebbe 409 seggi. Sufficienti a confermare Ursula von der Leyen. A meno che la maggioranza non decida di abbandonare i verdi ed aprirsi ad alcuni selezionati euro-atlantisti tra i conservatori. Ed è qui che Meloni potrebbe rientrare in gioco. Ma è difficile fare previsioni adesso.