Ieri abbiamo pubblicato la lettera di Dino Cofrancesco rivolta al Prof.Marco Gervasoni sul tema legato al fine vita. Di seguito vi proponiamo la risposta dello stesso Gervasoni.
Ringrazio Dino Cofrancesco per l’attenzione al mio editoriale di esordio con Il Giornale, apparso il 30 settembre. Per la verità, esso non era dedicato al caso dj Fabo e neppure in generale alla questione della eutanasia: in una riga, inserivo la “dolce morte” (che nel linguaggio neo orwelliano di oggi sta per eutanasia) nel pacchetto ideologico della nuova maggioranza e del governo “Giuseppi”. Tuttavia le sollecitazioni dell’amico sono benvenute e a queste cercherò di rispondere.
Cofrancesco teme che gli argomenti liberali siano “consegnati alla sinistra”. Purtroppo c’è da dire che questo è avvenuto da tempo, almeno dagli anni Sessanta del secolo scorso, quando il liberalismo si è buona sostanza trasformato in “libertarismo”, come capì subito Raymond Aron. Al posto del liberalismo classico, cioè quello che coniugava libertà e responsabilità e che faceva dell’individuo un ente in rapporto con la tradizione e con la comunità (anche per contrapporvisi, certo) si è affermata una concezione del mondo in cui l’individuo, senza storia né terra, senza padri e senza figli, domina su tutto, e i suoi diritti, cioè le sue più egoistiche (ed egoistiche) volizioni sono trasformate in “diritti”, altro concetto che viene a perdere i connotati che per due secoli aveva posseduto.
La sinistra che nasce dagli anni Sessanta e soprattutto dopo il crollo del Muro assorbe quindi questo liberalismo e ne fa anzi l’ideologia cardine, la sola rimasta dopo il 1989: come aveva capito Augusto Del Noce, proprio negli anni Sessanta, prevedendo che i partiti di sinistra, a cominciare da quello comunista, si sarebbero trasformati in partiti radicali di massa. Quindi la sinistra si è già mangiata le battaglie liberali: solo che le conduce a suo modo, con una mentalità che è totalitaria fin dalle origini della sinistra, cioè dal 1789. Ecco perciò oggi prevalere quella forma che alcuni correttamente chiamano “totalitarismo liberale“, e i cui effetti sono sotto i nostri occhi in tutto l’Occidente.
Nel caso specifico della dolce morte o eutanasia, essa non è più, come poteva essere un tempo, un caso di coscienza individuale. Non nel momento in cui la sinistra, cavalcandola come una delle pietre miliari della propria ideologia, quella della libertà come desiderio irresponsabile e sradicato. La sinistra infatti trasforma l’eutanasia in “diritto alla morte” e quindi in qualcosa che deve essere normato, deve finire per essere gestito dallo Stato, sotto il controllo del Magistrato.