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Evadere le tasse non è per forza un male: lo scriveva anche Einaudi

Come sapete la pubblicistica di Luigi Einaudi è sconfinata. Più volte in questa rubrichetta ne abbiamo parlato: dalle celebri Prediche inutili alle raccolte dei discorsi parlamentari realizzate da Libro Aperto.

Einaudi ha scritto a lungo anche per periodici, dove esordì, e quotidiani. Oggi, soprattutto per la sua stringente attualità, vorremmo ricordare alcune righe scritte per il Corriere della Sera esattamente 110 anni fa.

“Che i contribuenti combattano una diuturna, incessante battaglia contro il fisco scriveva l’economista che poi diventò governatore della Banca d’Italia e presidente della Repubblica – è cosa risaputa, ed è nella coscienza di tutti che la frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”.

Avete letto bene: la frode fiscale unica arma di difesa del contribuente contro gli eccessi del fisco. Qualcuno potrebbe obiettare che sono frasi di un Einaudi un po’ “acerbo” di inizio ‘900, prima dei suoi incarichi prestigiosi. L’obiezione vale poco: basta leggere l’intero articolo.

Einaudi conosce benissimo un meccanismo che poi Laffer rese famoso: “Tanto grave è la pressione fiscale che avvocati e notai aguzzano tuttodì l’ingegno per dare agli atti più consueti di compravendita, donazione, appalto, ecc., le forme più complicate ed artifiziose quando in tal modo si riesce a pagare una tassa minore”.

Le conclusioni di Einaudi sono favolose: “È nobile intendimento… impedire che alcuno si sottragga al suo debito tributario, in quanto la frode degli uni, immiserendo l’erario, lo costringe a gravare la mano su quelli che frodare non possono. Ma d’altro canto non è male che il tentativo della Finanza di costringere tutti a pagare le altissime aliquote italiane incontri una vivace resistenza nei privati. Se questi si acquetassero, e pagassero senza fiatare, anche la Finanza si adagerebbe sulle alte quote, paga dei guadagnati allori. La frode persistente la costringe a riflettere se non le convenga di ridurre le aliquote per indurre i contribuenti a miglior consiglio o per scemare il premio della frode. Il reato fiscale non è quindi sempre senza frutti: poiché ad esso si deve se qualcosa si ottenne in materia di minorazioni di aliquote…”.

Purtroppo le cose sono andate diversamente. Le frodi fiscali, l’evasione tanto decantata, non hanno indotto legislatori e Finanza a rendere le aliquote più ragionevoli. Al contrario sono stati inaspriti controlli, percentuali, multe e sanzioni. Che spesso gravano proprio su chi meno se lo meriterebbe.

Nicola Porro, Il Giornale 15 gennaio 2017