Rassegna Stampa del Cameo

Ex radicali, ex comunistI, ex fascisti: tutti contro il nuovo

Rassegna Stampa del Cameo

Noi élite dobbiamo prenderne atto: l’epoca di Giorgio Napolitano e dei suoi bravi è definitivamente chiusa, con l’ultima débâcle elettorale della “rossa” Toscana un ciclo politico si è fatto cipria. Diceva mio nonno, toscano: “I toscani durante il fascismo erano tutti “neri”, nella settimana del 25 aprile diventarono tutti “rossi. Si spostano in gregge”.

Ci accorgiamo solo ora che in quel (maledetto) autunno 2011, scegliendo il classico approccio che geneticamente ci appartiene (la sudditanza al breve termine), e non una vision strategica che ci manca da quando abbiamo abbandonato la meritocrazia e l’ascensore sociale, precipitando nel più bieco ceo capitalism, ci siamo messi fuori, se non dalla Storia, quantomeno dallo storytelling consolatorio nel quale da anni ci rotoliamo.

Il vecchio e il nuovo

Abbiamo rottamato i “comunisti” Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, il “vecchio” (e di certo era giusto così) ma abbiamo clamorosamente fallito nel selezionare il “nuovo”. Con Mario Monti, con Enrico Letta, con Matteo Renzi, con Paolo Gentiloni (quattro sfumature del nulla, politicamente parlando), abbiamo fatto lo stesso errore dei francesi con Emmanuel Macron: di giovane c’era solo l’età anagrafica, il piglio bonapartista, l’energia. Politicamente erano (sono) uomini fuori dal tempo, alla prima difficoltà si trasformano in acide zitelle. Come in fondo lo stiamo diventati noi, rovinati dal politicamente corretto dei radical chic. Noi élite dovremmo sempre ricordare il pericolo incombente di precipitare nel burrone: il nuovo III Secolo dopo Cristo ci attende.

Il bello è che la vita continua, se ne fotte di noi, dei nostri errori, delle nostre paturnie, è iniziato un nuovo ciclo, all’apparenza risibile, quello di due ragazzotti e di un professore vanitoso, tre uomini in barca, per non parlare del cane. Se con la loro gestione il mondo italico sarà meglio o peggio di quello vissuto, lo sapremo quando non potremo più fare nulla per modificarne il corso.

E qui sorge il problema per noi élite: dobbiamo cavalcare il “mostro penta-leghista”, quantomeno per controllarlo (come si converrebbe a élite serie), ovvero rimanere puri e duri, come consigliano i più talebani di noi? Prima di decidere, osservate però costoro: gratta gratta sono o ex radicali o ex comunisti o ex fascisti, tutti pieni di rancore verso il nuovo, verso il diverso. Li ascolto, leggo i loro pezzi o  tweet, e non li riconosco più. Un tempo erano menti ironiche, gioiosamente eleganti, tolleranti, vederli così mi provoca, da un lato infinita tenerezza, dall’altro una grande tristezza. Com’è brutto invecchiare (politicamente) male.

Una favola 1.0

Come invito alla riflessione politica su noi élite, vi racconto una favola 1.0, un’esperienza, trigenerazionale, alla Fiat. Ai tempi di mio nonno, operaio alle Ferriere Fiat, Giovanni Agnelli, quando capì che Benito Mussolini sarebbe rimasto a lungo al potere, pur disprezzandolo personalmente, si arruffianò, al punto da essere nominato Senatore del Regno. Ebbe mano libera per fare ciò che voleva, divenne ricchissimo. Ai tempi di mio papà, operaio al Lingotto, il professor Vittorio Valletta, capito che l’Italia sarebbe finita sotto il tallone americano, divenne un super atlantista. Fece così della Fiat una macchina che pisciava quattrini come fosse lava (lui però morì povero. Chapeau!). Ai miei tempi, operaio a Mirafiori, capito che il potere sarebbe stato del catto-comunismo montante, l’Avvocato Gianni Agnelli sentenziò: “Ciò che va bene per la Fiat, va bene per l’Italia”. Divenne il Re d’Italia, molto più potente delle Istituzioni repubblicane elette. Quando la Famiglia (reale) capì che tutto quello che c’era da raccattare era stato raccattato, convinsero il Pd locale (fu facile, bastò un paio di partite di scopone) che per Torino era molto meglio essere una città della cultura che del business industriale. In una notte, nera come la pece, se ne andarono, con tutto il “know-how” e il “futuro” di centinaia di migliaia di torinesi. Anni dopo furono solo più visti a qualche partita di Champions, intabarrati per il freddo o per la vergogna non si sa. Divennero ricchissimi e colti, però in dollari americani e Torino, specularmente, povera e incolta. Gli applausi scroscianti delle élite colte nostrane al loro indirizzo attraversarono l’oceano e si spensero, come un eco, nelle terre dei Grandi Laghi.

Che fare? Io non vi posso aiutare, delle élite sono una minoranza della minoranza, oltre tutto vivo negli interstizi, sono ai margini del campo da gioco. Mi diverto, in verità molto, con un Var artigianale che mi sono costruito: quasi nulla mi sfugge, e lo annoto, parte lo pubblico, parte no. Vedete voi cos’è giusto fare. Io sono vecchio, quindi sto con i giovani, sempre e comunque.

Mi deluderanno? Non lo credo, il mondo è loro. E poi, confessiamolo, peggio di noi è difficile fare: il testimone della staffetta che passiamo loro è marcio, e neppure lo sappiamo. Comunque su con la vita, lei è nel giusto, e vince sempre.