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Extraprofitti, il vaso di Pandora è aperto: ora tremano tutte le aziende

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In merito al pasticciaccio brutto delle extratasse sulle banche, più ci ragiono e più non trovo una sola ragione logica, al di là di quelle inconfessabili legate ad un facile consenso di bassa macelleria. In primis occorre sottolineare il fatto che le odiate banche operano in un regime strettamente sorvegliato dalle autorità pubbliche, con tutta una serie di stringenti paletti normativi, e sono soggette ad un regime fiscale addirittura più pesante di 3 punti e mezzo rispetto al resto delle società di capitali.

Di fatto al fisco non dovrebbe sfuggire neppure un penny del giro di quattrini che ruota intorno agli odiatissimi istituti di credito. Pertanto, come nel caso degli orrendamente definiti extraprofitti, lo Stato rappresenta una sorta di socio di maggioranza occulto che avrebbe – in questo caso il condizionale è d’obbligo – tutto da guadagnare dalla crescita dei relativi utili. Ciò per almeno tre ordini di motivo:

1. dal prelievo diretto dell’Imposta sulle società di capitali, che attualmente è del 27,5% – mica bruscolini -;

2. dall’imposta sul capital gain del 26%, derivante sia dai dividendi distribuiti agli azionisti e sia dalle eventuali plusvalenze realizzate dalle vendite in borsa degli stessi titoli bancari;

3. dal prelievo tributario, per così dire a caduta, derivante dall’indotto economico che la crescita di un determinato settore determina. Tutto questo, proprio a causa di questa imposta straordinaria, non può che ridursi drasticamente, determinando una notevole perdita di gettito da parte dell’erario.

Quindi, a conti fatti, per esercitare in modo retroattivo un prelievo brutale del 40% è assai probabile, se non quasi certo, che l’intera operazione è destinata a concludersi in modo decisamente fallimentare sul piano dei conti pubblici. In estrema sintesi, siamo di fronte ad una situazione molto simile a quella mirabilmente teorizzata da Bastiat con il racconto della finestra rotta, nel quale il beneficio visibile risulta decisamente inferiore al danno occulto, ma reale, prodotto nel sistema dalla misura.

Ma non basta, la stessa retroattività dell’imposta, che per l’appunto va ad incidere su bilanci consolidati, costituisce un micidiale monito per il futuro per tutte le aziende italiane, disincentivando in sostanza ogni forma di investimento, visto che, sulla scorta di quanto successo, esse in futuro dovranno tenere conto nelle loro decisioni di spesa di altre possibili azioni governative di giustizia sociale all’amatriciana. D’altro canto, come dice il titolare della nostra Zuppa quotidiana, una volta che hai aperto il vaso di pandora degli extraprofitti, qualunque attività remunerativa può cadere sotto la vigile percezione di chi ritiene di imporre la giustizia sociale a colpi di mazzate fiscali, per di più portate senza alcun preavviso.

In definitiva, chi opera nel sempre più tumultuoso mare magnum del mercato già deve affrontare tutta una serie di imprevedibili incognite, se poi ci aggiungiamo pure l’improvviso bubbone di una extratassa alla Robin Hood, non possiamo poi menarcela con la favola del “partito del fare”.

Claudio Romiti, 12 agosto 2023