Le fake news sono tali solo se non riguardano un tema politicamente corretto. C’è una specie di indulgenza quando le bufale sono scritte a titoli cubitali su un giornale progressista e riguardano una causa giudicata buona: la notizia resta falsa, anche se il fine è sacrosanto.
Cerchiamo di andare al concreto.
Ieri Repubblica a pagina 4 sparava con grande evidenza un numero impressionante: 6.788.000. E la didascalia recitava: «Italiane tra i 16 e i 70 anni che hanno subito qualche forma di violenza pari al 31,6%».
Questa notizia è falsa, doppia come un gettone. Il tutto a corredo di un pezzo che chiede maggiori risorse contro il femminicidio: cioè maggiori tasse per far sì che una donna su tre (così spiega la didascalia) non debba più subire ignobili violenze.
Giusto evitare le violenze, sbagliato tirare in ballo un numero falso. Così come è vero che Boschi e Boldrini non hanno partecipato al funerale di Riina, ma sbagliato che ci sia un fotomontaggio che le ritrae a quel funerale.
Come nel caso della foto falsa, bisogna andare alla fonte del numero, anche se per la foto è più semplice capire che si tratta di una bufala.
Quel numero è un macigno. Non basta fare clic con il tasto destro del proprio mouse per vedere chi lo ha prodotto. Né il giornale antibufale per eccellenza, e cioè Repubblica, ci dice da dove esce.
Ve lo diciamo noi.
Tutto nasce da un rapporto Istat del 2015 su dati del 2014, fatto su mandato del ministero delle Pari opportunità. Non si tratta di un dato puntuale, ma di un sondaggio. Cioè non ci sono 6,7 milioni di donne che hanno denunciato o lamentato o raccontato una violenza.
C’è un sondaggio su un campione di 24.761 donne.
Avete capito, si tratta di un sondaggio. Ma non basta. Nella didascalia di Repubblica, e non solo, si dice che il 31,6% delle donne italiane subisce violenza.
In realtà la maggior parte di loro subisce la cosiddetta violenza psicologica: il 22% della popolazione nazionale secondo l’Istat, e cioè 4,4 milioni su 6,7 milioni delle loro stime, si lamenta solo della violenza psicologica e non già di quella fisica. Grave comunque, ma ci sarà una differenza tra l’una e l’altra.
L’indagine è stata condotta facendo delle domande al campione scelto dall’Istat: la maggior parte riguarda proprio le ipotesi di violenza psicologica. Il questionario elaborato in collaborazione con le operatrici dei centri anti-violenza (per i quali sono reclamati maggiori finanziamenti) prevede infatti sette domande sulla violenza fisica, otto su quella sessuale e la bellezza di 20 su quella psicologica.
I ricercatori hanno messo in evidenza questa emergenza italiana con domande del tipo: «Il suo partner si arrabbia se lei parla con un altro uomo? La critica per il suo aspetto, per come si veste o si pettina ad esempio dicendole che è poco attraente, inadeguata? È costantemente dubbioso sulla sua fedeltà? Controlla costantemente quanto e come spende? Il suo partner minaccia di uccidersi?». E così via.
A ciò si aggiunga, come ammettono i ricercatori, che le intervistate spesso non hanno la percezione di aver subito violenza. Sono i ricercatori che sanno meglio delle presunte vittime cosa possa essere considerata violenza nei loro confronti.
Il timore è che le donne (trattate come dei soggetti inferiori) siano tutte vittime psicologiche dei propri carnefici maschi, non in grado di rispondere adeguatamente ad una serie di domande dirette sul fatto di aver subito o meno una violenza psicologica. Le donne non capirebbero da sole che quando il maschio dice che il risotto fa schifo le sta violentando psicologicamente.
Tutte cose brutte, indelicate, sgarbate. Ma davvero possiamo giudicare la violenza nei confronti delle donne con un questionario del genere?
La statistica al servizio di un’ideologia è quanto abbiamo appena descritto. Sono sconfitte proprio le donne che subiscono violenza. Dire che una donna su tre in Italia subisce violenza, ridicolizza la denuncia.
È buono per un titolo dei giornali e per un tweet, ma non per combattere la violenza vera.
Può essere utile per trovare qualche finanziamento a nuove ricerche, a centri burocratici che dovrebbero spiegarci come rispondere a tono al proprio compagno, ma non a salvare una dottoressa di un pronto soccorso siciliano che viene brutalmente violentata nel suo turno di notte, perché nessuno ha previsto un presidio di sicurezza.
Come è avvenuto nei mesi scorsi in Sicilia.
Nicola Porro, Il Giornale 28 novembre 2017