Va bene, “sostituzione etnica” è un termine equivoco, ma la sostanza è molto chiara, e pure democratica. Il ministro dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida, parlando del pericoloso mix tra denatalità e migrazione, accenna una sorta di sostituzione etnica che sarebbe in corso, e a sinistra lo paragonano i nazisti. Sta di fatto che ogni anno in Italia la popolazione immigrata sale e quella indigena cala. Oggi siamo circa al 10% con proiezioni in aumento esponenziali.
Ma vediamo la sostanza di ciò che intende Lollobrigida, cioè che l’agenda politica degli ultimi anni è stata pesantemente sbilanciata. Tutta l’attenzione e tante risorse per l’immigrazione, zero attenzione e pochissime risorse per quello che riguarda la protezione degli italiani, in particolari delle loro famiglie. E per protezione non mi riferisco unicamente alla loro sicurezza, no, quello che è mancato è stata un’adeguata protezione economica. L’esempio più calzante e lampante è la cronica mancanza della nostra città di un numero adeguato di asili e nidi, che detto così uno potrebbe anche dire “ma quale problema sarà?”. E invece no, invece è un grosso problema, un enorme problema, perché se una giovane coppia non sa chi affidare il figlio, si innesca una catena di problemi professionali ed economici enormi.
Il bambino dove lo metto è, insomma, una domanda legittima almeno tanto quanto quella l’immigrato dove lo metto. O meglio, accogliamo certamente i figli di un altro mondo, ma non prima di aver risolto in modo strutturale il problema dei figli del nostro mondo. A questo si riferisce Lollobrigida nella sostanza, anche perché i figli degli immigrati che hanno redditi bassi e situazioni spesso di disagio scalzano nelle graduatorie pubbliche degli asili i figli nostri. E così proprio non va bene.
Allora, cara Schlein, prima di accusare Lollobrigida di essere un primatista bianco, ti spiacerebbe chiedere ai tuoi sindaci del Pd, in primis quello di Milano Beppe Sala, di riequilibrare le loro attenzioni e le loro risorse in modo che le famiglie italiane non siano condannate a essere sempre seconde, cioè a venire dopo i diritti delle copie LGBT, delle piste ciclabili, dell’accoglienza degli immigrati e di tutto ciò che ben sappiamo. Perché non essere primatisti non significa rassegnarsi a essere secondisti.