La borghesia che ha contribuito allo sviluppo imprenditoriale è sempre stata quella borghesia produttiva che con fatica, spirito innovativo e intraprendente ha permesso di generare una società moderna, con prosperità crescente e innalzamento degli standard di vita, di cui hanno beneficiato tutti gli strati sociali.
Poi ci sono le altre presunte borghesie, quelle della cosiddetta “classe media”, come, ad esempio, quella del posto e dello stipendio fisso statale (ragionale, provinciale, comunale, ministeriale, di apparato pubblico in genere, di gestione del denaro pubblico, di intermediazione tra pubblico e privato, di carriere per anzianità e concorsi truccati, di pensioni d’oro e d’argento, etc etc), che quando va in banca viene finanziata perché con quello stipendio è “bancabile”, compra l’auto nuova elettrica ed ecologica, va a sciare nelle località più “in” e guarda schifata le mani unte dell’artigiano e del piccolo imprenditore, che, in quanto tali, sono sporchi capitalisti evasori e anche non troppo degni di essere frequentati.
Ecco, questa non è borghesia, è un’altra cosa, ed è peggiore. Diceva Petrolini: “Torniamo all’antico, faremo un progresso”, e appunto torniamo a definire la borghesia produttiva, se non altro faremo chiarezza. Quella borghesia che ha generato progresso grazie all’economia di mercato, alla concorrenza e alla libera impresa, e che ha sempre avuto tutti contro, dai collettivisti agli aristocratici.
Scriveva Sergio Ricossa nel suo formidabile libro dal titolo Straborghese (IBL Libri, 2010): “Se nemmeno i borghesi sanno più quale sia il senso del loro nome, non c’è più speranza per loro”
La borghesia non è una classe sociale, è il carattere:” Ogni discorso sulla borghesia incappa fin dal principio nella difficoltà di non sapere mai bene chi siano i borghesi […] Credo che si confondano le idee con l’errato presupposto che la borghesia sia una classe sociale. Per me, non lo è, e non mi attendo dunque che a definirla sia il sociologo o il politologo (tanto meno il politico), l’economista o il giurista. La borghesia è invece un tipo umano, è un carattere, e forse il più adatto a parlarne è il romanziere o il commediografo”.
Un carattere che deve essere anche forte, perché l’ambiente là fuori è abbastanza ostile: “Il borghese ha sempre avuto e sempre avrà molti nemici, fra cui sé stesso. Per avere successo bisogna infatti passare davanti ai concorrenti, borghesi o non borghesi. Chi stravince raramente è simpatico; […] Lottatore isolato, il borghese, vinca o perda, si trova aggredito da ogni parte. Non ha alleati fuori dalla famiglia, fuori di una cerchia di amici”.
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E quindi si vede bene che questo è un carattere non per tutti, ma è per chi vuole avere la libertà di costruire la propria vita intraprendendo, cercando l’innovazione e convivendo con l’insicurezza del cambiamento:” Sennonché, bisogna ripeterlo, il carattere borghese non tutti lo posseggono o non tutti vogliono coltivarlo. È faticoso, carico di responsabilità personali, severo almeno nella fase della prima ascesa: come nella fisica, occorre una forza bruta maggiore per mettere in moto che per mantenere in moto. Anche chi già possiede, e da tempo, ricchezza o moto vorrebbe poi mantenere ciò che ha, senza sforzo ulteriore, per inerzia. E invece la borghesia trasforma la vita in una continua competizione, frappone attriti, resistenze, ostacoli imprevedibili. Non nega la tranquillità, ma la fa pagare in qualche modo”.
È ora di ridare corpo e ruolo al borghese produttivo: torniamo all’antico, faremo un progresso!
Fabrizio Bonali, 7 gennaio 2023