Politica

Feltri: “Vi svelo i veri fascisti della parola”

L’ultimo libro del direttore del Giornale in cui denuncia la deriva della sinistra che censura l’italiano

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“Frocio”, “zingaro”, “negro”. Parole che ormai solo Vittorio Feltri può pronunciare ma la destra di questi tempi non sa più sorridere. La stessa elegantissima Giorgia Meloni, per anni battutista spiritosa ed irriverente, da quando è a Palazzo Chigi ha lasciato dentro la sua Mini Cooper quella sana ironia con cui ha conquistato gli italiani. E c’è da capirla, vista la mole di problemi ed emergenze che ogni giorno deve gestire e, spesso, parafrasando la spassosa commedia di Troisi-Benigni, “non le resta che piangere”. Tra guerre, Pnrr che non decolla, debito pubblico e riforme, il compito è davvero arduo. Ma forse qualche risata al premier e ai suoi ministri, la può ancora strappare Vittorio Feltri con il suo ultimo libro Fascisti della parola, edito da Rizzoli.

L’unico giornalista in Italia, oggi, che può permettersi di scrivere che i veri fascisti stanno dall’altra parte della barricata. E si tratta di quei progressisti i quali, convinti della loro egemonia culturale, vogliono cambiare il dizionario italiano pornografandolo con lo schwa [ə] al posto dell’ultima lettera “a” per il femminile oppure la “o” del maschile di una parola riferita a persone. Un esempio: “Qualcunə ha dimenticato il buon senso”, per un purista della parola come Feltri è un colpo al cuore. Pertanto ecco il libro denuncia a difesa della lingua di Dante. La nutrita schiera degli intellettuali – a questo punto servirà la schwa?- dem per lui hanno in canna tutto il repertorio: omofobo, misogino, sessista, razzista, sovranista, classista, a Feltri non resta che dire: “Me ne frego”.

Su questi temi, chiunque altro essere vivente non la pensi secondo il loro unilaterale politically correct va esposto al pubblico ludibrio. “Ma le parole sono libertà; di contro, la loro proibizione è tirannia”, dice Feltri. “Negro”, “vecchio”, “frocio”, “zingaro”, “merito”, ad ognuna il suo capitolo, una divertente pedagogia “feltriana” che aiuta a conoscere la storia dell’uomo e il pensiero libero dell’autore. “Questo controllo semantico è sempre più totalizzante e invasivo, ci condiziona senza che neppure possiamo accorgercene, tanto che qualche volta al bar quasi ci vergogniamo a ordinare un ‘Negroni’”.

Possibile che tutti quei rappresentanti woke, protesi ad un atteggiamento “consapevole” verso le ingiustizie sociali, non si rendano conto di quanto siano diventati improponibili e, spesso, involontariamente ridicoli? Feltri indica un esempio: Laura Boldrini, che di fronte all’elezione della prima premier donna (tra l’altro giovane) della storia d’Italia, anziché congratularsi per l’emancipazione finalmente raggiunta dal nostro Paese, stigmatizza la Meloni perché vuole essere chiamata presidente, al maschile. In Italia è caduto un totem, ma l’onorevole del Pd guarda la pagliuzza! “Da quando il femminismo è stato trasformato in una guerra al vocabolario, è stato svilito il valore delle battaglie più serie”. L’autore liquida così la turbofemminista.

Passando all’altro capitolo, quello sulla parola “frocio”, si sorride amaramente: “Secondo la giurisprudenza i termini frocio, culattone, lesbica, ricchione sono ingiuriosi. Tuttavia la Corte di Cassazione nel novembre 2016, ha dissipato ogni dubbio sulla parola “omosessuale” ritenendo che – nel presente contesto storico – il termine omosessuale ‘non è lesivo della reputazione di nessuno…’”. In un’intervista al rimpianto Paolo Isotta, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, gli fu chiesto: “Lei è gay?” E lui rispose in tono grave “Io non so’ gay, io so’ ricchione!” Ancora oggi, quando ci penso scoppio a ridere”.

È la cattiveria che dolosamente si usa nel dire una parola a renderla fastidiosa e offensiva: sono i toni, i gesti e, ovviamente, il contesto ad essere pericolosi, non il lemma in sé stesso. Tant’è che la parola “frocio” quando la pronunciano gli stessi gay è non lesiva. Una noticina: molti non sanno che Vittorio Feltri è iscritto all’Arcigay e quindi non si può proprio tacciarlo di omofobia: se ne facciano una ragione quei sinistroidi che sui social montano spesso shit storm su di lui. E se esistesse un’associazione Arcizingaro, Feltri si iscriverebbe anche a quella, perché lui dello zingaro ha un’idea romantica, di nomade artista che gira per il mondo.

Però qualcuno, prima o poi, dovrà spiegargli, in maniera convincente “Perché il termine ‘terrone’ sia insultante mentre l’equivalente, ovvero ‘polentone’ si può usare scherzosamente senza dare origine a reazioni scomposte e sollevare l’indignazione collettiva”. Cara Giorgia, la maggioranza degli italiani è con te. Diceva Giacomo Leopardi, “chi ha il coraggio di ridere, è padrone del mondo”.  Torna a sorridere, magari leggendo il nostro amico Feltri.

Luigi Bisignani, 12 novembre 2023