Due recenti casi che hanno per protagonisti amministratori locali della Lega hanno destato non poche polemiche interessate. Esse sono state aizzate da una sinistra che cerca di trovare negli avversari spaccature e divisioni profonde che non ci sono o che sono montate ad arte.
Il primo caso riguarda il sindaco di Treviso, Mario Conte, che ha deciso, in contraddizione con un decreto firmato dal leader del suo partito, Matteo Salvini, di iscrivere all’anagrafe comunale i figli di famiglie non eterosessuali. Il secondo caso è invece di qualche giorno fa e concerne l’apertura da parte della Regione Veneto di un centro per il cambiamento di sesso all’interno del Policlinico Universitario di Padova. Entrambe le decisioni sembrano in contrasto con le posizioni del partito.
Il primo caso è sicuramente più eclatante perché la decisione del sindaco trevigiano, come ha prontamente notato il segretario della Lega, apre le porte a quella maternità surrogata o dell’utero in affitto, che, comunque la si metta, è una moderna forma di schiavitù e uno sfregio ai diritti e alla dignità della donna, tanto ipocritamente declamati proprio a sinistra. Pure il caso concernente la Regione veneta è però istruttivo per quella che a noi sembra la corretta posizione in termini liberali del tema.
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Fermo restando che in un regime di libertà, come ha detto sempre Salvini, “ognuno ama chi vuole” e, aggiungerei, “come vuole”, fermo restando il reciproco consenso, il problema è quello di giustificare razionalmente e moralmente la decisione presa da Luca Zaia. A tal proposito, è stato lo stesso governatore, a cui tutti riconoscono leadership e capacità amministrativa, in una intervista rilasciata al Corriere, a offrire una serie di motivazioni. Che esse siano del tutto convincenti non è però possibile dirlo. Se è vero, da una parte, che bisogna, in una certa misura, sempre distinguere il proprio ruolo istituzionale dalla propria appartenenza politica, è pur vero che un governatore è espressione di una parte politica di cui è tenuto a realizzare il programma per poi poter essere giudicato a fine mandato, quando cioè gli elettori hanno il pieno diritto se credono di mandarlo a casa affinché altri realizzi un programma diverso. Detto altrimenti, è vero che un amministratore, come dice Zaia, deve esserlo “di tutti, al di là del censo, dell’orientamento sessuale o del colore della pelle”, ma egli è pur sempre un politico e non un asettico tecnico che dà ragione un po’ a tutti.
Si parla spesso di rivalutare la politica. Bene, ma cosa altro è la politica (e direi la democrazia) se non una scelta precisa fra alternative diverse e spesso opposte? Dove però Zaia non è assolutamente persuasivo è quando dice che “il compito della politica non sia limitare le libertà, ma garantirle”. Siamo proprio sicuri che l’ideologia gender, che è poi a capo di certe decisioni che di fatto destrutturano la famiglia tradizionale, aprano e non chiudano spazi di libertà? È libero oggi chi vuol dire , senza essere escluso dal dibattito pubblico, di credere nella famiglia tradizionale o negli insegnamenti trasmessici dal cristianesimo? È libero il figlio di coppie omogenitoriali che si trova a vivere una situazione che non ha scelto? È libera una donna che, per motivi economici, è costretta ad affittare il proprio utero? O quella che vorrebbe tenersi un figlio ma è costretta per gli stessi motivi ad abortire? È libero, più radicalmente, di realizzarsi come vita il feto che è nella pancia di una mamma che decide di abortire?
Comunque la si pensi, si capisce che ci troviamo di fronte a dilemmi di libertà che non possono essere sorvolati con la semplicità con cui li sorvola la cultura progressista, con una leggerezza concettuale che è pari alla potenza escludente della messa in pratica di certe idee. Quando poi Zaia, a cui comunque va il merito di aver sollevato la questione a indice della vitalità della sua parte politica, dice che la destra non ha l’anello al naso, significa che inconsapevolmente ha accettato quella idea di progresso che è propria, appunto, dei progressisti. Per essa, la politica e la vita non sono fatte di scelte mai definitive e sempre impegnative e responsabilizzanti per gli individui che le compiono, ma di decisioni che corrono lungo il binario prestabilito di un sempre maggiore rischiaramento delle menti e della vita. Peccato che ciò che sia chiaro e ciò che sia scuro sia stato stabilito già in partenza! E peccato che la troppa luce acceca e non fa vedere!
Corrado Ocone, 19 marzo 2023