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Finkielkraut, i giornaloni sbagliano antisemiti

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La cosa bella della cronaca è che non la puoi comprimere nell’ideologia, si ribella con l’ostinazione tipica della realtà. Prendete il caso di Alain Finkielkraut, uno dei maggiori filosofi viventi, oggetto di una schifosa aggressione verbale antisemita da parte di un pugno di scarti umani col gilet giallo nella sua Parigi. I giornaloni si sono tuffati a capofitto nella vicenda, vendendo a pagine unificate la versione: è l’odio antisemita che cresce nella pancia del populismo, è l’onda nera delle destre eversive.

Gli è andata male, però: Finkielkraut non è il classico intellò organico al politicamente corretto, è un “occidentalista” fallaciano. Infatti la prima cosa che fa è andare in tv, e raccontare: “Ce n’era uno con la barba che mi urlava “Palestina!” e “Dio ti punirà!”, e questa è una retorica islamista”. A ruota, si viene a sapere che il gentiluomo era effettivamente catalogato dai servizi francesi come un radicalizzato formatosi all’interno del “movimento islamista” nel 2014. Anche quel “la Francia è nostra!”, gridato con inflessione araba, viene interpretato dal filosofo nel senso della “Grande Sostituzione” di popoli sul cui rischio insiste da anni.

Quanto agli altri umanoidi, li dipinge così: “Era un miscuglio di giovani delle banlieue, dell’estrema sinistra e forse di soraliani” (il riferimento è all’ideologo Alain Soral, che unisce nazionalismo e marxismo, ed è un guru sia per la destra antisemita che per l’islamo-guachisme altrettanto antisemita). Del resto, ha chiosato il filosofo, “mi sorprenderebbe si trattasse di gilet gialli delle origini, perché sono uno dei pochi ad aver sostenuto il movimento dall’inizio, sottolinenando che c’è stata una grande incomprensione nei confronti di questa Francia disprezzata”.

Volevano farne un santino anti-populista, ma lui è troppo abituato a pensare in proprio, e gli è esploso in mano. Gli ha ricordato che oggi l’antisemitismo è anzitutto materiale islamico e sinistrorso. E gli ha ribadito che i gilet gialli, i tartassati e i dimenticati, hanno le loro ragioni. Certo, è ora che si strutturino un minimo, altrimenti come insegna il caso Finkielkraut qualunque sbandato estremista può mettersi il gilet e insozzarne la battaglia. Ma peggio di loro c’è senz’altro questo establishment che ieri strillava all’aggressione fascista, e oggi ne omette il marchio islamista raccontato dalla stessa vittima. Che evidentemente non era la vittima giusta.

Giovanni Sallusti, 19 febbraio 2019