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Foglio, perché questa volta non sono d’accordo con Porro

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Nella mia ultima Zuppa ho spiegato perché mi sono schierato dalla parte del Foglio sulla questione dei finanziamenti. Marco Gervasoni ci spiega in questo articolo perché non è d’accordo con me.

Vi prego, assicurate subito la cifra dei finanziamenti al Foglio. Non potrei mai sopportare una replica della vicenda Radio popolare, mesi e mesi di giaculatorie sulla libertà di stampa, di vittimismi, di denunzia del regime « che ci vuole tappare la bocca ». Tanto si sa che poi alla fine una soluzione si trova: siamo in Italia, qui non si chiude mai niente (anche se, per la verità, l’Unità…). Risparmiamoci soprattutto la fiera delle ipocrisie che già si intravede in questi giorni, al cui confronto Tartuffe appare una figura trasparente e diretta.

La prima grande ipocrisia è quella del finanziamento ai giornali. Che non sono aiuti all’editoria come in tanti paesi dell’Europa continental-socialista. Sono qualcosa di più: sono figli del sistema pattizio-consociativo della Repubblica antifascista dei partiti. Tanto è vero che, per avere diritto ai finanziamenti, bisogna essere affiliati a un partito, anche se semi inesistente: è il percorso che ha intrapreso anche il Foglio. Con l’idea che, nella democrazia della partecipazione, per «rafforzare la coscienza democratica», per usare il linguaggio dell’epoca, lo Stato dovesse finanziare, oltre ai partiti, anche i loro organi: creando cosi una disparità tra fogli politici e giornali che di politica non volevano occuparsi.

Se già questo sistema era discutibile negli anni Settanta, oggi è completamente fuori tempo. Prima di tutto perché, se è stato eliminato il finanziamento pubblico ai partiti, non ha alcun senso sovvenzionare giornali sia pure indirettamente organi di un’associazione politica. E poi perché, lo sappiamo, lo Stato non dà niente per niente: o pensate che la Pravda prima del 1917 fosse finanziata dallo zar o l’Ordine nuovo di Gramsci da Mussolini? Se lo Stato ti finanzia, in maniera più o meno diretta, ha diritto a esercitare un controllo su quello che fai e su quello che scrivi, sia pure nella forma del rispetto delle regole che, però, come dimostra proprio il caso del Foglio, possono portare a molteplici interpretazioni. In questo caso l’interpretazione dello Stato, cioè della guardia di finanza, che lamenta irregolarità, non collima con quello degli avvocati del Foglio.

Ipocrisia quindi da parte dello Stato. Che fa il paio con l’ipocrisia dall’altra parte della barricata, in questo caso del direttore del Foglio e dei suoi numerosi supporter. Qui il livello di tartufismo è sublime. C’è quello, maggiormente messo in rilievo perché più evidente, che cozza direttamente con la battaglia del giornale per il libero mercato assoluto, contro gli aiuti di Stato, contro l’assistenzialismo, per la «durezza del vivere» (un espressione del Ministro dell’Economia del secondo governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa).

No agli aiuti di Stato per IlvaAlitalia, sì per quelli al proprio giornale? Ma quest’atteggiamento ha dietro di sé una lunga tradizione: già Vilfredo Pareto a fine Ottocento ridicolizzava i «liberisti» a parole in realtà succhioni dei proventi dello Stato. Per forza, il liberismo in genere, e quello italiano in particolare, è sempre stato ultradogmatico in quanto minoritario, e talmente  fondato su prediche astratte, da cogliere nel fallo subito quei chierici costretti, malgrado loro, a vivere nel mondo.

L’altra ipocrisia è strettamente politica: i rumorosi amici del Foglio gridano alla censura, al governo che vorrebbe far chiudere il giornale. Ma l’esecutivo non vuol serrare un bel niente: si limiterebbe eventualmente a non finanziare più il giornale. Se poi chiudesse, non riuscendo a «stare autonomamente sul mercato» dal Foglio tanto idealizzato, non sarebbe un fucking problem dell’esecutivo, Inoltre, in questo caso, lo stop al finanziamento sarebbe causato da una diatriba di carattere amministrativo, come tale da gestire con gli strumenti del diritto: ci auguriamo che abbia ragione Il Foglio e che si tratti di un equivoco ma, nel caso contrario, sarebbe difficile gridare al Minculpop.

L’aspetto più ipocrita di questa denunzia politica sta nel fatto che il governo, secondo il Foglio censore, è in realtà un esecutivo loro amico. Gli ululati contro i sovranisti autoritari potevano infatti avere un senso durante il governo precedente, dove però i più radicali nel voler chiudere le sovvenzioni ai giornali non erano nella Lega, ma nei 5 Stelle. Cioè gli stessi che ora si sono alleati con il Pd e con Italia Viva, i partiti di riferimento del Foglio, se non altro perché esponenti e persino parlamentari dell’uno e dell’altro vi scrivono regolarmente.

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