Politica

Foibe, i comunisti che votarono contro il Giorno del ricordo - Seconda parte

Ed oggi che la Giornata del Ricordo compie 18 anni, è bene anche scattare una fotografia che riassuma davvero quello che accadde dopo la guerra. Quale sarà il confine tra l’Italia e la nuova Jugoslavia? Nella primavera del ’45, il problema è aperto e le difficoltà a raggiungere un accordo fanno emergere con tutta evidenza la correlazione tra controllo politico e controllo militare.

Il comunista Josip Broz – nome di battaglia maresciallo Tito – guida il gruppo jugoslavo allo scopo di estendere alle città e alla fascia costiera il controllo che già esercita in parte delle zone interne: si dirige direttamente verso Fiume, l’Istria e Trieste. L’esercito jugoslavo insedia i Comitati popolari di liberazione – che assumono il potere politico-amministrativo e i cui membri sono quasi tutti slavi, con l’eccezione di alcuni italiani “di provata fede comunista”. Le indicazioni operative sono chiare: occupare per primi, bandiere slovene e jugoslave, non permettere manifestazioni italiane, rinforzare l’Ozna – la polizia politica partigiana jugoslava ed “epurare subito” la popolazione autoctona. Fu così che gli italiani furono costretti ad abbandonare casa. Perché quello degli italiani non fu un esodo, ma “un’espulsione di massa”.

Come scrisse Theodor Veiter, noto studioso di diritto internazionale, secondo la moderna definizione di diritto dei profughi. Chi non fuggiva, infatti, veniva esposto a persecuzioni di natura personale, politica, etnica, religiosa che lo rendeva senza patria nella propria patria d’origine. Gli italiani non compirono la scelta volontaria dell’emigrazione, ma vennero espulsi dal proprio Paese. E poi ci fu la pulizia etnica operata con le foibe. Quei crepacci naturali, imbuti che sprofondano nelle voragini della terra fino a 200 metri. Come un grattacielo che finisce a testa in giù e si sviluppa nel buio della terra. Era la maniera comunista di far scomparire le prove dei crimini, ma anche qualcosa dal profondo valore simbolico: gettare un uomo in una foiba significa trattarlo come un rifiuto.

Quasi nessuno si piegò al comunismo slavo. Furono tanti gli italiani a morire nei campi di lavori e tanti altri subirono esecuzioni meno plateali, come qualche sacerdote sgozzato in canonica. in 350 mila furono costretti all’esodo, in 16 mila (la stima degli storici è molto approssimativa) vennero infoibati. Siamo un Paese strano, un Paese che non vuole ricordare. La cultura marxista-leninista che ha invaso ogni sospiro culturale in questo paese, e ha riscritto i libri di storia, ha finito con il demolire quel poco di identità nazionale che avevamo, già prima del periodo fascista.

Lorenza Formicola, 10 febbraio 2022

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