Le infami manipolazioni della nostra epoca si declinano secondo sensibilità infantili. A Viareggio in Versilia un asilo abolisce la festa del papà e i papà vanno in panici: non è possibile, la aspettavamo tanto. Sono i padri a parlare o i figli di tre anni? Ma cosa è tutta questa smania di tragediare, di fare un epos per ogni ricorrenza o occasione della quale a nessuno importa davvero? Per dire, le chiese sono sempre più vuote ma sulla festa del papà, dedicata a San Giuseppe primo santo cristiano, non si transige. Purché sia recita consacrata al consumo e alla celebrazione pubblica che è simulazione pubblicitaria.
Da parte sua la dirigente del plesso coinvolto, Barbara Caterini, non sembra più matura in quel raccattare aprioristico, acritico qualunque smania alla moda: “Cinque o sei genitori sono venuti a lamentarsi da me perché non trovavano giusto che in quel giorno i loro figli, che non avevano il papà, venissero esclusi da quell’attività e venissero pertanto indirizzati da un’altra parte. Ho trovato le loro lamentele condivisibili, perché un laboratorio organizzato in questo modo è discriminatorio nei confronti di chi non ha un papà”.
Roba da matti! Chi sarebbero poi questi genitori che si sentono discriminati perché non c’è un papà? Le madri? I compagni uomini vedovi di uomini? Non si capisce, il pensare politicamente corretto implode in afasia concettuale. Sta di fatto che basta agitare lo spettro della discriminazione e c’è subito un dirigente, per definizione una figura di potere chiamata a dar prova di senso e concretezza, che la prende sul serio, si irrigidisce come la Greta del “come osate” e blocca tutto. Tarpando ogni soluzione possibile.
Quale sarebbe, gentile direttrice o direttore, la discriminazione? Quale il torto che traumatizzerebbe infanti dediti, come è giusto, al gioco e allo svago? E perché poi “indirizzarli da un’altra parte”, emarginarli? Sono loro a rischio di choc o siete voi a procurarglielo, voi nella paura ragionieristica o aziendalistica di perdere iscrizioni?
Una scuola non si gestisce così e non si conduce coi mille pretesti per raggiungere un mondo di uguali irraggiungibile dove non esistono la mancanza, la separazione, dove, per andare al fondo delle vostre sciocche giaculatorie, la famiglia tradizionale non si dà però si fa finta che ci sia e nella versione perfetta.
Proprio così argomenta la dirigente Barbara e già ci senti il tratto saccente della vera sinistra pedagogica: “Dobbiamo renderci conto che la famiglia modello non c’è più, è superata da 50 anni”. Questo lo dice lei, musica per le orecchie genderizzate della segretaria Schlein, ma si tratta di una convinzione mediocre, superficiale. Tanto più se allo stesso tempo se ne pretende la reificazione a misura di mulino bianco gender: qualcosa che va bene per il mercato propagandistico all’insegna dell’inclusivo e dell’allargato, talmente allargato da perdere i suoi confini, i suoi lineamenti. Già, ma che cosa? Questo la direttora non lo specifica così come non precisa con che cosa sostituire la festa del papà, retaggio di cultura cattolica e dunque, si intuisce, stigmatizzato del maschilismo tossico: “Oggi ci sono situazioni aperte e particolari che devono essere rispettate e tutelate. Soprattutto da una scuola. A me interessa che nei vari laboratori, che sicuramente continueranno, non vengano fatte discriminazioni di nessun tipo nei confronti di nessun bambino. Per martedì ho già convocato una riunione con insegnanti e genitori per vedere di organizzare un laboratorio sostitutivo in cui tutti siano coinvolti, senza discriminazione alcuna”.
Siamo già al politichese vaneggiante, al sindacalese demagogico delle soluzioni che non esistono, delle riunioni, dei tavoli, allargati anche quelli, dei laboratori “total inclusion“. Ma per favore! Ma li volete lasciare liberi ‘sti ragazzini, ma vi decidere voi a crescere una buona volta? Ma quando lo capite che a furia di non discriminare si esclude, si taglia fuori la più parte?
Torniamo per chiudere ai papà inconsolabili: “E adesso? Come lo spieghiamo ai nostri figli?”. Potrebbero spiegare, i genitori uno o A o X come le direttore democratiche, che il mondo (e la scuola) è un posto reale e nei posti reali qualcosa andrà sempre storto ma ciò non significa niente e non pregiudica niente; che, ma questo più che spiegarlo va dimostrato, non è questione di feste o di babbi più immaturi dei figli ma di qualità del loro tempo e della presenza di chi resta. Invece, ciascuno nel suo ruolo e nella sua posizione, tutti contribuiscono a creare bambini di carta, abbonati a vita ai traumi di carta. Succede quando si pretende di misurare la vita col metro dell’ideologia; e qui ormai tutto è ideologia, non c’è più spazio neanche per respirare. Come si è visto col Covid, incognita che il vecchio buon senso avrebbe arginato e che un approccio criminalmente ideologico ha trasformato in follia totalitaria.
Max Del Papa, 15 marzo 2023