Il primo summit “in presenza” del presidente Joe Biden con i leader europei si è consumato in Cornovaglia, all’insegna del “pandemicamente corretto”. Provate a scorrere in velocità le immagini degli enfatici saluti col gomito (pratica bandita dall’Oms un anno fa, ma nessuno ne ha preso nota) tra i “potenti” del G7: assisterete a una pantomina da commedia dell’Arte. Un balletto stile comiche di Charlot. Boris Johnson e la moglie si danno di gomito, ripetutamente, col presidente Biden & la first lady Jill. Imitati, con triangolazioni ardite, dagli altri leader e capi di Stato. Troppo impauriti per darsi una stretta di mano, seppur tutti vaccinati e ripresi all’aperto per le foto di rito? Nemmeno per sogno. Solo un copione da seguire a favore delle telecamere. Un rituale grottesco, spazzato via dal gesto informale del presidente Emmanuel Macron. Che con la tipica nonchalance francese, ha rotto l’etichetta e trascinato sottobraccio il presidente americano. Mettendo in burletta, involontariamente, l’intero protocollo sul distanziamento sociale sfoggiato dagli altri.
Avanza il politicamente corretto
Guai a urtare il “politcamente corretto”, ancora più sacro ai tempi del Covid. I gesti, come le parole, hanno un loro peso specifico. E la parola più attuale, nel gergo politico anglosassone, è senza dubbio “wokeness”. In Italia, forse non tutti sanno a cosa questo termine faccia riferimento. Per fortuna, non è ancora entrato a regime nel vocabolario dei nostri governanti. Su Wikipedia, con wokeness si intende la “consapevolezza di temi riguardanti la giustizia sociale e razziale”. Così, la linea di Downing Street è stata prontamente ricalibrata sul messaggio che il vecchio e danaroso Zio Sam, ammantato dei triliardi appena stanziati in patria, gradisce ascoltare. “Joe Biden è il nuovo modello di woke”, lo aveva già elogiato il premier britannico tempo fa. Mentre nel suo discorso di apertura al G7, Jonhson ha fatto un passo ulteriore. Si è voltato verso il presidente Usa, seduto al suo fianco, tanto da sembrare quasi infantile nella sua ricerca di approvazione: “Il mondo post Covid avrà bisogno di essere più equo, più gender neutral e più femminile” ha pomposamente dichiarato, quasi avesse fornito la ricetta per estirpare la fame nel mondo.
Che senso hanno le parole del primo ministro britannico? Cosa significa costruire un mondo post pandemico “gender neutral” e quali saranno i benefici pratici per i cittadini? Johnson non lo ha spiegato. Ma il suo discorso, vuoto e enfatico, è il segno plastico del trionfo, nell’Agenda europea del G7, della “woke-obsession”, esportata oltreoceano con successo dalla Casa Bianca. La stessa ossessione che si è manifestata, di recente, con l’esposizione della bandiera del movimento Black Lives Matter e del vessillo Arcobaleno, in occasione del Pride, fuori dalle ambasciate americane, inclusa quella presso la Santa Sede.
I bianchi sono “parassiti”
La woke culture è ossessionata dal linguaggio. E uno dei termini più stigmatizzati in assoluto è “white”, contro il quale ha eretto una vera crociata. Appena insediato, Biden ha creato una Commissione dedicata all’estremismo dei bianchi, definito “white supremacy”, nell’esercito Usa. La testata Human Events ha scoperto e pubblicato, l’11 giugno, un archivio di tweet scioccanti provenienti da un account gestito, sotto lo pseudonimo “Dru”, dal comandante di un battaglione di fanteria, il capitano Andrew Rhodes. Questi alcuni dei tweet, poi maldestramente rimossi: “Se sei un maschio bianco, sei parte del problema”. Altri messaggi negavano completamente i valori dell’esercito Usa, ritenuti non sufficienti a incrementare “la diversità”.
Secondo lo psicanalista Donaldo Moss, docente al New York Psychoanalytic Institute, sarebbe invece evidente l’equivalenza tra i maschi bianchi e i parassiti. La razza bianca (“whitness”), a cui lui stesso appartiene, sarebbe una “condizione contagiosa”. Come il Covid, la “bianchezza” si può trasmettere ad altre persone e infettarle. E provoca nei suoi esponenti “desiderio di potere senza limiti”, “forza senza contenimento” e “violenza senza pietà” rivolti contro tutte le persone non bianche. “Whitness has no cure”, è una delle sue frasi pubblicate un mese fa sul prestigioso Journal of the American Psychoanalytic Association, come ha riportato il New York Post.
Il nuovo dizionario antirazzista
Dal gergo quotidiano rischiano di venire espulse anche parole innocenti come “apple pie” (torta di mele), “manmade” (manufatto), “manpower” (manodopera), e persino “mum”. Quest’ultimo termine è stato rimpiazzato dalla locuzione gender neutral “birthing people”. Una sostituzione giustificata con questa motivazione, da una consulente al Bilancio di Biden: “Ci sono persone che non vogliono riconoscersi in maschio/femmina. Così il nostro linguaggio sarà più inclusivo”. Documenti interni alla Federal Reserve hanno svelato l’esistenza di un manuale, diffuso tra i dipendenti, che vieta l’uso di altri termini ritenuti offensivi. Nell’elenco figurano “fouding fathers” (ridotto a “founders”, fondatori, eliminando il termine “padri”) e i pronomi maschili e femminili. Il tentativo, neanche velato, è di estirpare ogni riferimento collegato alla fertilità e alla riproduzione biologica. Una vera psicosi, portata alle conseguenze più radicali dalla deputata di sinistra Alexandria Ocasio-Cortez, che ha dichiarato di non volere figli a causa del cambiamento climatico.
Se il conservatore Johnson, per mero calcolo politico, si è inginocchiato davanti all’altare della filosofia “woke”, a strappare il velo sull’ipocrisia del nuovo mantra progressista è stata proprio una sconosciuta mamma cinese. Che ha rivolto un discorso toccante davanti al consiglio d’istituto della scuola di suo figlio, in Virginia. Nelle aule americane, dalle classi materne fino al college, hanno preso piede controversi programmi di indottrinamento (critical race theory). Accusati di creare divisioni tra gli alunni e un disagio crescente nelle famiglie. “Quello che sta accadendo nelle scuole americane è una replica della Rivoluzione culturale cinese”, ha spiegato Xi-Van Fleet, che aveva 6 anni quando la rivoluzione maoista scoppiò in Cina. Per vent’anni ha vissuto sotto la cappa di uno dei regimi più oppressivi: “Il partito comunista usava le stesse tecniche della “cancel culture”. Tutta la civiltà cinese precomunista è stata azzerata: abbiamo cambiato i nomi delle persone, delle strade, delle scuole e persino i nomi propri delle persone. Io stessa sono stata ribattezzata Xi-Van, perché Xi significa “west”, occidente, e poteva sembrare un richiamo all’imperialismo”.
Le somiglianze citate dalla combattiva Xi, scappata dalla provincia del Sichuan negli Stati Uniti, sono terrificanti: “Wokeness, in Cina, è declinato in “class wokeness”. È il tuo livello di aderenza a questa ideologia che determina la tua aspettativa di carriera e di ottenere benefici. A scuola e in società noi venivamo divisi in due gruppi: oppressi e oppressori. In America usano la razza, in Cina la classe sociale. Qui chi ha vedute diverse è etichettato come razzista, in Cina chi dissentiva era definito controrivoluzionario”.
Il suo appello, rivolto a genitori, allievi e insegnanti, ha fatto il giro del web: “Voglio solo dire agli americani che la libertà è fragile e che si può perdere in ogni momento se non siamo pronti a difenderla. Vorrei dire al popolo americano che chi spinge per la predicazione di teorie razziste ha un unico obiettivo: far rinascere il razzismo. Il razzismo è usato dai governi per dividere, è distruttivo e pericoloso”. Parole da leader, in un Occidente in cui i leader hanno ormai smarrito il senso stesso delle parole.
Beatrice Nencha, 14 giugno 2021