Sono trascorsi oltre 4 anni dalla pandemia di terrore propagata sulla base di una malattia banale per la stragrande popolazione, eppure il prossimo Festival di Sanremo parte all’insegna dei virus respiratori. Divenuti oramai una presenza ingombrante nella vita sociale di questo disgraziato Paese, anche la più importante rassegna canora italiana di canzonette dovrà sottostare alle regole imposte da uno dei rappresentanti della folta schiera dei cosiddetti uomini della medicina.
Giorgio Ardizzone, medico ufficiale del Festival e direttore dell’Emergenza-Urgenza dell’Asl1 di Imperia, il quale ha preso il testimone da Stefano Ferlito, primario del 118. Quest’ultimo come riporta in tono epico Adnkronos, avrebbe “gestito – durante la pandemia – il piano sanitario messo in campo dall’Asl nei giorni di Sanremo.” La qual cosa ci fa venire in mente, estendendo il concetto all’intero corpo sanitario del Paese, ciò che disse Winston Churchill a proposito dei piloti della Raf che combatterono la “battagli d’Inghilterra”: “mai così tanti dovettero così tanto a così pochi.”
Ma dal momento che la nostra battaglia nazionale contro i virus è lungi dall’essere vinta, il buon Ardizzone ha deciso di seguire il motto latino secondo cui sempre “melius abundare est quam deficere”. Ciò significa che riparte la tiritera macabra dei tamponi, sebbene riservati – da quanto riporta la stampa nazionale – solo ai protagonisti della kermesse canora. Queste le sue inequivocabili e imperative indicazioni per spezzare le reni ai virus: “Se c’è qualcuno che presenta una sintomatologia respiratoria particolarmente evidente, un tampone lo faremo. Come è normale che sia, per evitare, anche fosse una sindrome influenzale, che continuando a lavorare a stretto contatto con i colleghi possa magari causare una piccola epidemia”, un focolaio.”
Ora, in merito alla lodevole iniziativa del medico di evitare la diffusione di qualunque virus tra i protagonisti di Sanremo, maestranze comprese, ci sono alcune obiezioni che, con tutto il rispetto per la professionalità del dottor Ardizzone, risultano di una evidenza imbarazzante. In primis, considerando che nella stagione invernale i medesimi virus circolano copiosi in ogni ambiente sociale, l’idea di poterne bloccare la diffusione tra l’esercito di artisti e addetti ai lavori del Festival – tutte persone che ovviamente si muovono liberamente durante la manifestazione – appare simile al tentativo di svuotare il mare con un secchiello, per giunta bucato.
Inoltre, nel malaugurato caso che si dovesse riscontrare in un soggetto una positività al Covid o ad altra malattia influenzale, quale dovrebbe poi essere la misura successiva? Non vorremmo mica mandare a casa un eventuale finalista oppure, cosa ancor più ridicola, metterlo in isolamento e farlo esibire in videoconferenza? Infine, dal momento che i numeri e i riscontri di questo periodo – come aveva già sottolineato Guido Bertolaso, assessore al Welfare della Lombardia – ci dicono che le sindromi influenzali sono di gran lunga più serie e diffuse di quelle relative al Sars-Cov-2, l’illustre dottor Ardizzone ci dovrebbe spiegare per quale motivo in passato né e a lui e né ad alcuni dei suoi colleghi scienziati sia mai passato per l’anticamera del cervello di imporre il tampone al Festival di Sanremo e/o in qualsiasi altro analogo evento artistico.
Il maligni, a cui noi ci sforziamo sempre di non dare molto credito, potrebbero sostenere che la pandemia di Covid-19 abbia fatto compiere alle categorie che si occupano di salute un grande balzo in avanti, facendo loro assumere, durante le fasi più acute del terrore virale, un peso e una importanza senza precedenti nella storia patria. Un peso e una importanza che, sostengono sempre gli stessi maligni, era inevitabile che dovesse inesorabilmente e rapidamente declinare. Da qui il tentativo, quasi come una sorta di riflesso condizionato, di cogliere ogni occasione per rinverdire una centralità sociale oramai svanita da tempo nell’oblio.
Claudio Romiti, 2 febbraio 2024