Il signore qua sopra, Richard Ned Lebow, è un professore universitario con 53 anni di carriera alle spalle. È stato autore o curatore di 34 libri e oltre 200 articoli accademici. In decenni di attività accademica avrà pronunciato e scritto milioni di parole. Temiamo però che passerà alla storia per solo due di queste: “Ladies lingerie”, lingerie femminile.
Nell’aprile del 2018, il prof Lebow è a San Francisco per un importante convegno di studi internazionali. Ad un certo punto si trova su un ascensore affollato. Qualcuno chiede ai presenti a che piano vogliano andare. Al che il prof Lebow replica con le fatidiche, oggi celebri, parole: “Ladies lingerie”, vale a dire “al piano della lingerie femminile”. Risate tra i presenti. La corsa prosegue. Il prof Lebow torna alle sue occupazioni e questo racconto potrebbe (anzi dovrebbe) finire qui.
Invece no. Due giorni dopo, Lebow scopre che un reclamo contro di lui è stato presentato al comitato etico dell’Associazione per gli studi internazionali (ISA), l’organizzazione che raccoglie oltre 7000 ricercatori e studiosi nel campo delle relazioni internazionali. A presentare il reclamo è stata una sua collega, Simona Sharoni, professoressa, non a caso, di Women and Gender studies. Oggetto del reclamo? La scandalosa e offensiva battuta sulla lingerie femminile. Anche la Sharoni si trovava su quel maledetto ascensore. Afferma di essere stata lei a chiedere a quale piano andare e di come Lebow “abbia risposto lingerie femminile con un sorriso sulla faccia e tra le risate dei suoi amici”. Praticamente una violenza sessuale di gruppo… La Sharoni rimane paralizzata. Poi quando escono dall’ascensore un’altra donna si avvicina per confortarla: “Certe battute non dovrebbero essere più accettabili”.
Il report si conclude così: “In quanto io stessa vittima di abusi sessuali nel corso dei miei studi accademici, sono molto scossa da questo incidente”.
Saputo del reclamo, il prof Lebow decide di contattare direttamente la Sharoni per risolvere amichevolmente la questione. Le scrive una mail in cui le assicura che con la sua battuta “non intendeva offendere le donne o farla sentire a disagio”. “Anche io, come lei, sono assolutamente contrario ad ogni forma di sfruttamento, coercizione e umiliazione della donna”. La avverte però che “inoltrando questo reclamo all’ISA su una questione che io considero frivola – e come tale, mi aspetto, verrà giudicata dal comitato etico – lei sta distogliendo tempo ed energie dai veri abusi che entrambi vogliamo eliminare”.
Che ingenuo il professor Lebow. Doppiamente ingenuo. Innanzitutto perché, poche settimane dopo, il comitato etico accoglie in pieno il reclamo della Sharoni. E poi perché proprio la sua lettera, che doveva essere un modo per sgonfiare la questione e tornare amici come prima, viene considerata invece un aggravante. Il comitato ritiene che le parole usate da Lebow in ascensore siano state, in effetti, “offensive e inappropriate”. Ed è inoltre “ancora più grave che lei abbia scelto di contattare la prof.ssa Sharoni e abbia definito il suo reclamo come frivolo”.
È a questo punto che la vicenda esce sui media. Il primo a riportarla è il Washington Post, poi esce sull’Associated Press e ben presto il dibattito sulla moralità delle battute sulla lingerie femminile fa il giro del mondo. I media, a differenza di quanto accaduto recentemente a Portland, si dimostrano in generale simpatetici con il professore. Anzi sono i giornali più conservatori, stavolta, a fiutare il sangue e a rilanciare la storia che mette in ridicolo il politically correct.
Questo giornalista, ad esempio, prova in tutti i modi a difendere l’operato della Sharoni esprimendo un concetto “interessante”: “Per quanto possa a noi apparire sciocco o frivolo, se qualcuno si è sentito offeso, è sempre il caso di chiedere scusa”. Alla fine però anche lui concede che la Sharoni avrebbe dovuto cercare di risolvere la faccenda in privato prima di presentare un reclamo ufficiale.
Simpatie a parte, il problema resta. Il comitato etico si è espresso e il prof Lebow rischia di chiudere la sua carriera con un provvedimento disciplinare. Viene quindi presentato un ricorso. In una lunga lettera Lebow ripercorre in dettaglio l’intera vicenda (cioè la corsa in ascensore). Contesta il fatto che la Sharoni potesse vedere il suo maligno “sorriso” in un ascensore affollato. Non capisce a “quali amici” si riferisca. “A ridere furono semmai pochi e io non conoscevo nessuno”.
È costretto ad una ricostruzione storico-filologica della battuta “ladies lingerie”: un tormentone tipico della sua generazione, quando a pigiare i bottoni erano i ragazzi addetti agli ascensori. Ricorda come la sua reputazione di professore universitario sia stata finora immacolata e di “essere sempre stato un sostenitore della causa femminile”. In quello che a lui deve sembrare una procedura kafkiana, il professor Lebow fa atto di deferenza a tutte le forche caudine del politicamente corretto.
Su una cosa però, quella fondamentale, il professore mantiene la schiena dritta. Non chiederà scusa perché, secondo lui, il fatto resta “frivolo” e non ha nulla di cui scusarsi. “Chiedere scusa, come mi viene richiesto, vorrebbe dire che c’è qualcosa di sbagliato nel dire “lingerie femminile” in un ascensore”.
Il comitato etico dell’ISA rimane silente per sei mesi. Poi, pochi giorni, fa la delibera finale. Ve la riassumo così: No, devi proprio chiedere scusa. Le giustificazioni del prof Lebow non vengono giudicate sufficienti a ribaltare il precedente giudizio. “Nonostante lei abbia spiegato che la sua battuta non voleva essere offensiva e che si trattava di un riferimento ad un vecchio scherzo, nella sua lettera alla prof.ssa Sharoni lei non si è scusato a sufficienza. Il comitato ritiene che lei abbia marginalizzato e trivializzato la reazione della prof.ssa Sharoni al suo commento e che si sia trattato di un tentativo di intimidazione atto a dissuaderla dal suo reclamo”.
Quindi: “il comitato ritiene che la vicenda deve essere risolta presentando le sue scuse inequivocabili (unequivocal apology) alla prof.ssa Sharoni”.
C’è veramente poco da ridere in questa vicenda (anche perché, ammettiamolo, la battuta era davvero scarsa). Richard Ned Lebow, però, non è uno standing comedian. È uno studioso di relazioni internazionali che deve giustificarsi di fronte ad un comitato di censori sul perché ha detto “lingerie femminili” in ascensore.
In ballo, chiaramente, c’è molto più. Quanto è giusto cedere di fronte alla cultura del vittimismo e dei safe space? Il fatto di sentirsi soggettivamente offeso da qualcosa implica necessariamente che quel qualcosa sia oggettivamente offensivo? E, a questo punto, chi è che decide cosa è offensivo e cosa no?
“Perché lei [la prof.ssa Sharoni] ha il diritto di dirsi offesa di quella che lei interpreta come espressione di misoginia, mentre io non ho il diritto di chiamare il suo ricorso frivolo”, fa notare il prof Lebow.
Per il momento almeno, non chiederà scusa per aver detto “lingerie femminile” in ascensore.
Stefano Varanelli, 1 dicembre 2018