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Fosse Ardeatine e partigiani, siamo vittime della propaganda

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Sulla infinita diatriba delle Fosse Ardeatine, ancora una volta da parte di una certa sinistra è prevalsa la strumentalità politica, a totale detrimento di una ragionevole ricostruzione storica di questo tragico avvenimento.

Ricordo, a tale proposito, che la mia insegnante di lettere delle medie, la quale in quel drammatico periodo collaborava con la Resistenza distribuendo volantini nella Capitale, durante una lezione di storia confessò senza mezzi termini di aver sempre considerato una azione sconsiderata quella che portò alla morte di 33 soldati altoatesini del Polizeiregiment “Bozen”.

Di fatto, secondo alcuni autori dell’attentato, l’attentato dinamitardo avrebbe dovuto “scuotere la popolazione, eccitarla in modo che si sollevasse contro i tedeschi”. Una motivazione assolutamente delirante considerando che i cittadini romani, prostrati e affamati dal lungo incubo di una guerra persa in partenza, non avevano altro obiettivo che quello di restare in vita in attesa dell’imminente arrivo delle truppe alleate. Truppe che avrebbero poi liberato Roma dopo circa due mesi. Eppure gli “eroici” gappisti, unità partigiane organizzate dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti, non si fecero alcuno scrupolo nel colpire un esercito oramai morente, ben consapevoli che in questo modo il loro atto avrebbe condannato a morte oltre 300 prigionieri italiani, senza peraltro indebolire minimamente la capacità bellica degli occupanti, ma acuendone addirittura la ferocia. In estrema sintesi, si trattò di un atto dalle finalità inconfessabili, probabilmente legate alla vocazione egemonica di un partito all’epoca legato a doppio filo con lo stalinismo, che non pare aver avuto alcun legame con motivazioni di carattere militare.

Inoltre – pure in questo caso la propaganda martellante di questi ultimi anni è riuscita ad oscurare tale, importante dettaglio, se così lo vogliamo definire – colui che diresse l’eccidio delle Fosse Ardeatine, Herbert Kappler, fu condannato solo perché furono uccise 5 persone in più rispetto ai numeri previsti dalla durissima rappresaglia imposta dai tedeschi. Occorre comunque ricordare che le truppe italiane impegnate contro la guerriglia nei Balcani non si fecero molti scrupoli nell’applicare rappresaglie anche più spietate nei riguardi della popolazione locale, a cui seguirono gli orrendi massacri delle foibe perpetrati dai comunisti jugoslavi di Tito.

Oltre a ciò, risulta doveroso sottolineare che è molto facile utilizzare i vinti come comodo bersaglio propagandistico da rispolverare all’occorrenza onde dimostrare che i loro assai presunti eredi politici, in questo caso gli esponenti della solita destra sporca, brutta e cattiva, mantengono inalterate le antiche, aberranti caratteristiche antidemocratiche.

Ed è proprio per evitare queste vergognose speculazioni politiche di bassa macelleria che ho sempre sostenuto l’importanza di una ricostruzione storica dei fatti in oggetto, la quale tenga in massimo conto il contesto in cui gli stessi si svolsero. Esattamente il contrario di ciò che sta accadendo soprattutto in Italia in merito alle vicende che precedettero la nascita della Repubblica, in cui si utilizzano le lenti distorte della propaganda odierna, realizzando un surreale processo di continua falsificazione che allontana sempre più le nuove generazioni da una ragionevole comprensione delle medesime, drammatiche vicende.

D’altro canto, pur ricordando qualche importante tentativo operato a sinistra per superare le antiche e sterili contrapposizioni, ancora oggi in questo versante politico la propensione manichea a dividere il mondo tra buoni e cattivi risulta durissima a morire, sebbene essa abbia contribuito a ridurre in modo significativo la presa elettorale degli eredi di un partito che, sostenendo di venire da molto lontano, prometteva di fare ancora più strada. Ostinandosi invece ad attaccare la destra con argomenti morti e sepolti, questa gente dimostra ancora una volta di voler restare perennemente impantanata in mezzo al loro proverbiale guado.

Claudio Romiti, 26 marzo 2023