Intervista di Franco Prodi rilasciata a Tommaso Mattei per La Verità.
«Dire che l’uomo possa incidere sul clima al 98% è assolutamente fantasioso». Lo sostiene senza mezzi termini Franco Prodi, fisico e studioso di fisica dell’atmosfera. Eppure oggi il mondo sembra dover cambiare sulla base di questo assunto. «Questo pensiero unico ha prodotto su di me vere e proprie persecuzioni». La transizione energetica entro il 2030? «Una strada molto pericolosa». Quando chiedo il permesso di pubblicare le sue parole, il professor Prodi sorride: «Beh, le cose riportate sono sempre a rischio».
A Sharm El-Sheikh si è appena concluso uno dei più grandi appuntamenti climatici del mondo.
«Sono sempre stato molto critico nei confronti della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e anche quella di quest’anno mi sembra in linea con le precedenti. Si chiama Cop27 ma questa serie di numeri non è che abbia portato miglioramenti o suggerimenti che siano stati, poi, fedelmente seguiti».
Che cosa intende?
«Io critico questo forum di contatto fra le Nazioni Unite e alcuni scienziati perché nel tempo è diventato un pensiero unico come se i documenti, i rapporti finali che escono da queste conferenze fossero il verbo della scienza del clima. Non è così».
Cosa sono, allora?
«Sono forum di contatto, appunto, fra le Nazioni Unite e alcuni scienziati. Ma la scienza procede per altre strade, per altri sentieri che possono essere più tortuosi e più lunghi ma più sicuri».
Che vuole dirci?
«Bisogna procedere con i lavori scientifici sulle riviste internazionali riconosciute che hanno il famoso peer review, lo strumento che permette di sottoporre queste pubblicazioni ad attente e approfondite revisioni prima di essere diffuse. Poi bisogna procedere seguendo le conferenze ufficiali ma, soprattutto, le associazioni scientifiche formali come, ad esempio, la International Union of geodesy and geophysics (Associazione internazionale di geodesia e geofisica, ndr) che è associata alla International Association of meteorology and atmospheric physics».
A proposito di conferenze e documenti, lei con altri grandi scienziati ha firmato un documento, una sorta di petizione, per discutere dei problemi climatici.
«Sì, abbiamo promosso questa petizione dal titolo eloquente: “Non c’è emergenza climatica”. Ci siamo trovati d’accordo partendo dalle diverse specializzazioni scientifiche che ognuno possiede. Nel mio caso ho posto l’attenzione sulle nubi».
Perché?
«Le nubi, che studio da decenni, sono il centro del sistema climatico perché incrociano ciò che arriva dalla Terra e ciò che proviene dal Sole nel bilancio di radiazione. Se prevalgono i fotoni solari la Terra si riscalda. Se prevalgono quelli terresti, essa si raffredda».
Quali altri aspetti sono stati illustrati?
«Il collega professor Scafetta si è concentrato nell’osservazione inerente l’attività solare: dalla serie storica dei dati traspaiono cicli di 60 o 120 anni nei climi del passato. I colleghi geologi hanno portato reperti storici che hanno permesso l’analisi dei traccianti dei climi del passato».
La summa quale è stata?
«Convergendo tutti questi dati abbiamo convenuto che fosse da arginare questo pensiero unico, formatosi nel frattempo, di un’emergenza climatica. La storia della Terra fa trasparire questi cicli. Negli ultimi 2.000 anni abbiamo visto molti segni, come il periodo caldo romano, quello medievale, la piccola glaciazione del 1600-1700, il processo di ritirata dei ghiacciai. Così abbiamo formulato questa petizione alle autorità».
Il vostro messaggio principale?
«Vogliamo che le autorità considerino che colpevolizzare al 100% l’uomo per l’aumento della CO2 non è scientificamente accertato».
E come sta andando?
«La petizione ha avuto subito un’eco internazionale: la Clintel, una delle associazioni più importanti sul clima con più di 1.500 scienziati, ha condiviso e diffuso la nostra cautela».
Gran parte della comunità scientifica vi accusa di essere solo dei negazionisti.
«Io non nego che un cambiamento antropico ci possa essere, ovvero che in qualche misura l’uomo possa incidere sul clima, ma quantificare la responsabilità umana al 98% è assolutamente fantasioso e non basato su risultati scientifici».
Che tipo di riscontro state avendo dalla politica?
«I politici in questi decenni di dialogo sono arrivati a fidarsi solo dei modelli. È vero, i modelli sono importanti quando sono in grado di formulare previsioni, come ad esempio nella meteorologia. Nessuno si sogna di fare il weekend senza consultare il meteo, ma perché sappiamo che quei modelli sono affidabili. Non è questa la condizione per il clima».
Perché?
«Nell’analisi del clima convergono tante sottodiscipline. Per studiare i cambiamenti climatici bisogna tener presente molti fattori, come l’immissione della CO2, l’attività dei vulcani o il calore che proviene dall’interno della Terra. Tutti questi aspetti nei modelli correnti non vengono analizzati correttamente, tanto che si producono scenari molto diversi tra loro: le previsioni di riscaldamento della Terra in questo secolo vanno da un grado e mezzo fino a 6/7 gradi. I modelli servono al progresso della scienza, ma non sono da utilizzare in questo contesto».
Allora perché regna questo continuo allarmismo e questa colpevolizzazione dell’uomo?
«È appena uscito un libro curato dal professor Alberto Prestininzi nel quale si affronta anche questo tema analizzando i retroscena mondiali. Ci sono interessi della finanza internazionale e di gruppi di pressione che vogliono cambiare la produzione industriale, per esempio le auto elettriche. Ma non voglio entrare nell’argomento, cerco il confronto scientifico attraverso la petizione di cui abbiamo parlato».
C’è stato questo confronto?
«Per ora ci è stato negato. Ci sono stati negati incontri con il presidente Draghi e con il presidente Mattarella».
Verrebbe da demoralizzarsi.
«La nostra convinzione è che questa strada di aderenza al progresso della scienza del clima e il tener fede allo spirito perenne dell’università, inteso come ricerca, dev’essere indipendente dalle sollecitazioni e dai pensieri già acquisiti come pensieri unici, che vanno messi sempre in discussione. Questa è la motivazione che ci ha spinto a fare tutto questo con un atteggiamento molto sereno».
In verità, l’aria che si respira su tutto ciò non sembra tanto serena.
«Devo dire che questo pensiero unico ha prodotto su di me – uso la parola che va usata – vere e proprie persecuzioni».
In che senso, professore?
«Ho creato l’area di ricerca del Cnr di Bologna dal 1985 al 1993, ho diretto il maggior istituto di fisica dell’atmosfera del Paese per 20 anni. Ma oggi non posso più entrare nell’area di ricerca che ho creato, ho dovuto abbandonare i laboratori sperimentali che ho messo in piedi nel corso di una vita e che tra l’altro sono in condizione penosa».
Queste parole suonano come un monito.
«Bisogna stare attenti perché anche la ricerca può essere influenzata, la cessione dei fondi può essere legata al portare risultati che convalidino questo pensiero unico. Tutto ciò può essere pericoloso per il modo stesso in cui la scienza deve procedere, ovvero in un modo assolutamente indipendente e soprattutto non a maggioranza».
Il dibattito del mondo scientifico si articola su messaggi più rassicuranti, come ad esempio che il clima si può governare. È possibile?
«No. Dire che la temperatura globale si alzerà di 1,5 gradi entro il 2050 non ha senso: sarebbe possibile solo se si fosse compreso veramente il sistema climatico nella sua interezza con le sue basi fisiche. Io mi aspetto molto, non solo dal perfezionamento dei modelli, ma anche da missioni spaziali orientate alla risposta sul clima».
Che fare nel frattempo?
«Suggerisco di stare attenti alla riduzione dell’inquinamento e alla tutela dell’ambiente planetario».
Così, però, sembra dar ragione al pensiero comune.
«So bene che è una cosa difficile da far capire al grande pubblico. Intendo questo: non è detto che gli sforzi propagandati per ridurre il riscaldamento possono portare a una riduzione dell’inquinamento planetario».
Ovvero?
«Gli sforzi devono essere fatti verso questa tutela, perché l’inquinamento è misurabile mentre sul riscaldamento si discute se abbia motivi naturali o sia colpa dell’uomo. Sull’inquinamento non ci può essere alcuna controversia perché si tratta di misure rilevate da satelliti o stazioni. Le Nazioni Unite dovrebbero preoccuparsi di questo, della tutela dell’ambiente e di un uso dell’energia compatibile con le risorse fossili esistenti».
A proposito di questo. È vero che le fonti energetiche sono in esaurimento e serve un cambio di rotta?
«Il dato su quante risorse ci siano veramente nel pianeta fra gas naturale, petrolio e minerali uraniferi è nelle menti di pochissime persone. Questa, però, dovrebbe essere la base per ripartire con un accordo internazionale che abbia non più la pretesa di tenere a bada il riscaldamento globale, ma di tutelare un pianeta in cui la popolazione ha superato gli 8 miliardi di individui».
Crede sia possibile la transizione energetica che l’Europa vuole attuare entro il 2030?
«Spero di no. Non sono d’accordo sulla transizione energetica perché le fonti di energia rinnovabile, escluso l’idroelettrico, hanno fortissime limitazioni. Spero davvero che l’Europa si accorga presto di aver preso una strada molto pericolosa per il lavoro e per l’economia. Bisogna stare attenti a non proporsi obiettivi irraggiungibili ma anche dannosi per l’economia».