Il Freedom Convoy, la protesta dei camionisti canadesi contro l’obbligo vaccinale, giunta alla sua seconda settimana, non diminuisce. Anzi, da due giorni i manifestanti stanno bloccando il ponte Ambassador, un valico di frontiera strategico fra Usa e Canada che collega il centro industriale statunitense di Detroit con la provincia canadese dell’Ontario (che ha dichiarato lo stato di emergenza). Il premier progressista Justin Trudeau ha alzato il livello della minaccia, sostenendo che il boicottaggio del commercio canadese sia “inaccettabile”. Ma la sua posizione si fa sempre più difficile, considerando che anche il collega del Liberal Party (in realtà un partito laburista, secondo i nostri criteri politologici) Joel Lightbound, definisce le politiche del premier “divisive” e inutilmente rigide. Mentre province canadesi quali l’Alberta, il Québec e il Saskatchewan, stanno facendo marcia indietro, eliminando gli obblighi di esibire i pass vaccinali e riaprendo le attività pubbliche.
Blocco stradale, un fenomeno che si allarga
Il Freedom Convoy, anche se nessun politico canadese lo vuole ammettere, sta insomma avendo successo. E più che il sostegno popolare, a renderlo un’iniziativa di richiamo è proprio lo stesso atteggiamento di chiusura della classe politica canadese e del premier Trudeau in particolare. Nessun dialogo, solo insulti, solo generalizzazioni e demonizzazioni su chi protesta. Per questo motivo, la marcia dei camion del Freedom Convoy inizia ad essere imitata anche all’estero, soprattutto dove la classe dirigente ostenta lo stesso atteggiamento.
Prima nella anglosfera, in Nuova Zelanda soprattutto, dove la premier Jacinta Ardern ha applicato dure politiche di chiusura per raggiungere l’obiettivo del “Covid zero”. Sotto la sede del parlamento di Wellington, i camionisti locali si sono dati appuntamento, esattamente come in Canada. Sono stati accolti da una deliberata indifferenza. La Ardern ritiene che “non rappresentino la maggioranza”, perché il 77% dei neozelandesi è vaccinato. Ma in questo modo dimostra, anche lei come tanti qui in Italia, di non capire (volutamente) la differenza fra chi protesta contro restrizioni e obblighi vaccinali e chi, invece, si oppone al vaccino. Anche l’85% dei camionisti canadesi è vaccinato, infatti, ma chi sta manifestando lo fa per difendere un principio di libertà individuale.
Francia, dai gilet gialli alla marcia dei camion
In Europa, il movimento sta attecchendo soprattutto in Francia, come c’era da attendersi. Era prevedibile, prima di tutto, perché nel Paese transalpino era già in corso, da due anni prima del Covid, un moto contro il presidente Macron, quello dei gilet gialli. Alcuni degli organizzatori del convoglio della libertà francese, sono infatti gli stessi del movimento precedente. La protesta di allora era scoppiata per il caro-benzina, dovuto all’introduzione di tasse ecologiche, che colpiva soprattutto pendolari e lavoratori dei trasporti privati. Sono le medesime categorie più interessate alla rimozione delle restrizioni di movimento imposte come misure anti-pandemiche. La pagina Facebook francese del locale convoglio della libertà ha già raccolto 23 mila adesioni online. Sei distinte carovane, partite dai sei angoli della Francia, stanno puntando a Parigi, dove dovrebbero convergere questo fine settimana. Nella variopinta massa dei partecipanti si vede qualche bandiera canadese e del Québec francofono, come segno di solidarietà per i camionisti d’oltre oceano, ma soprattutto tante bandiere francesi. E qualcuna della Vandea, simbolo di una Francia popolare e cattolica che si oppone al laicismo delle élite. Tutto molto locale, dunque, tutt’altro che un “format” esportato dall’America.
La risposta delle autorità francesi, anche questa molto prevedibile, è una ferma minaccia di repressione. Così il ministro dell’Interno Gérald Darmanin: “Gli agenti sono mobilitati, ci prendiamo le nostre responsabilità affinché non si possa mai ostacolare la libertà di circolazione”. Il prefetto di Parigi ha vietato espressamente la manifestazione del convoglio della libertà, dichiarando illegale ogni assembramento sulle strade della capitale dall’11 al 14 febbraio. La polizia francese ha comunicato di aver predisposto un non ben specificato “dispositivo specifico” per impedire i blocchi stradali.
Mentre in Italia…
In Italia si sta organizzando qualcosa di simile, considerando che esiste già un gruppo “Italian Freedom Convoy” con più di 17 mila iscritti. Un altro canale social, Freedom Convoy Italia Official Channel, specifica anche le richieste: “Chiediamo: Fine immediata di tutte le misure Corona! Fine di passaporti sanitari, codici QR, app corona e carte d’identità digitali simili! La fine delle leggi emergenziali illegali e ingiustificate che minano la nostra costituzione e prevalgono sui diritti umani! La fine del sistema!”. La manifestazione italiana dovrebbe convergere in quella più vasta europea: convogli da tutti e 27 gli Stati membri confluiranno a Bruxelles, sede delle principali istituzioni dell’Ue, entro il 14 febbraio. Ma anche le autorità cittadine di Bruxelles hanno già annunciato il divieto di manifestazione e la polizia si prepara ad impedire l’accesso ai camion e il blocco delle strade.
In sintesi, il motto attribuito a Voltaire “la mia libertà finisce dove inizia la tua”, viene applicata dalle autorità statali unilateralmente contro una manifestazione per garantire la libertà di movimento dei cittadini. Ma dimenticando che la manifestazione in questione sta dilagando proprio perché, nel nome della lotta alla pandemia, gli Stati stanno negando ogni diritto di libertà. Adesso anche quello di manifestare. Come constata un ottimo editoriale del Wall Street Journal, il vero messaggio della protesta dei camion, è impossibile da fraintendere: “È ora di porre fine agli ordini emergenziali anti-pandemia”. Soprattutto dopo che molti dei Paesi più liberi, fra cui il Regno Unito, stanno eliminando tutte le misure restrittive perché, dati alla mano, considerano che la fine della pandemia sia vicina. Chi resta in gabbia, mentre altri escono, inizia a scuotere le sbarre di questa prigione e chiede di tornare a vivere una vita normale.
Stefano Magni, 11 febbraio 2022