Fuori lo Stato dall’educazione sessuale

Il mainstream punta il dito contro il maschio violento e parte la macchina dell’interventismo governativo

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In merito al pasticciaccio brutto del progetto “Educazione alle relazioni”, la cui definizione fa letteralmente accapponare la pelle – sebbene subito dopo ci si ricorda che viviamo nel Paese di Pulcinella per antonomasia -, io credo che occorrerebbe in primis analizzare la questione dal punto di vista del consenso. Consenso che, occorre sempre ricordare a chi inclina verso una visone delle cose eccessivamente idealizzata, rappresenta la principale ragione sociale, se non l’unica, di politici e addentellati vari.

Come purtroppo abbiamo potuto sperimentare sulla nostra pelle durante la pandemia, da molto tempo la nostra democrazia, in modo assai più marcato che altrove, è caratterizzata da una sorta di deriva interventista, la quale è alimentata da un crescente numero di presunte emergenze – in questo caso quella legata alla violenza di genere che degenera nel sangue – e che spinge chiunque si trovi a governare il Paese a fare qualcosa, adottando misure che sembrino risolutive, anche se in realtà si tratta dei soliti pannicelli caldi che ben conosciamo.

Tutto questo poi si inserisce in una logica, altrettanto ferrea rispetto alla famosa legge dell’oligarchia di Michels, che molti analisti sembrano non considerare nella giusta importanza; ovvero la spinta inclusiva che, tranne su alcune questioni particolari, porta  chi occupa la stanza dei bottoni ad usare il bilancino della mediazione. Bilancino che, per dirla in estrema sintesi, ha convinto l’esecutivo di destra a mettere in piedi uno dei più strampalati progetti illiberali della nostra breve storia repubblicana. Un progetto inutile e dannoso, innanzitutto perché si basa sull’assurdo presupposto di intervenire nel processo educativo e formativo dei giovani attraverso una serie di lezioni ad hoc, quasi che la complessa strutturazione psichica ed emotiva degli adolescenti si potesse plasmare con 30 ore di chiacchiere.

Tuttavia, dato che l’elettorato femminile supera il 50% degli aventi diritto, si può comprendere, anche se non approvare, una tale scelta. Scelta di intervenire, come scrive su queste pagine Federico Punzi, “a gamba tesa su una materia così personale” con l’unico, evidente scopo di non beccarsi l’anatema dal movimento femminista&company. Analogamente a ciò che è accaduto durante la citata pandemia, quando non c’era un politico – forse solo il libero pensatore Vittorio Sgarbi – che osasse mettere in discussione l’uso demenziale delle mascherine obbligatorie.

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Tant’è che la stessa Giorgia Meloni, che ha dimostrato di essere imbattibile a fiutare l’aria popolare, è stata una delle ultime personalità del mondo politico ad abbandonare pubblicamente un balzano strumento di protezione individuale divenuto, dopo tre anni, il principale simbolo esteriore di lotta al virus. E dato che oggi il mainstream ci dice che il nemico del momento è il maschio violento, possessivo e persecutore, occorre rieducarlo con i gruppi di discussione coordinati dai vari docenti. 30 ore di chiacchiere al vento che però, come ultimo barlume di liberalismo, sembra che saranno su base volontaria, sebbene la sinistra, nostalgica dei famosi campi di rieducazione inaugurati nei paradisi comunisti, si batte strenuamente per renderle obbligatorie. D’altro canto, oramai sembra tardi per fermare la macchina impazzita dell’interventismo governativo, al fine di non perderci la faccia.

Quindi, ahinoi, credo che dopo la scemenza dell’obbligo imposto ai benzinai – che hanno margini intorno al 2% – di esporre il prezzo medio dei carburanti, i tentativi di bloccare con qualche escamotage l’impennata generale dei prezzi e l’autogol, poi quasi rientrato del tutto, di esigere  dalle banche – ossia da tutti noi correntisti – una tassa aggiuntiva sui famigerati extra-profitti, il sistema Paese si ritroverà a fare i conti con una scuola, già di per sé piuttosto dequalificata, che pretende di insegnare ai giovani l’educazione sentimentale. Di fatto si tratta di una ulteriore testa di ponte per strutturare nel tempo altri carrozzoni pubblici con relativi albi professionali ad uso e consumo di burocrati e sindacalisti con parenti e amici da sistemare.

Claudio Romiti, 11 dicembre 2023

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