Il G20 a Roma si è concluso con un compromesso sul clima, qualche promessa sui vaccini e la ratifica di un accordo sulla tassa minima globale già preso mesi fa. Come d’altronde era prevedibile. Questi vertici multilaterali, in cui è rappresentato l’80 per cento della ricchezza del pianeta, sono dotati di una grande scenografia, ma più essa è ricca e meno si raggiungono risultati concreti. È difficile mettere insieme le politiche di ventisette Paesi europei, molto vicini per cultura e tradizioni, figuratevi voi come sia possibile unire America e Russia o Canada e Cina, democrazie mature e autocrazie consolidate, libero mercato e socialismo di Stato. Come spiegare a Paesi ancora sulla curva dello sviluppo che non devono adottare politiche ambientali che hanno fatto la forza e la ricchezza di Paesi già sviluppati? Insomma, per definizione, questi vertici partoriscono documenti che non soddisfano l’ansia pragmatica delle attese.
Al G20 di Roma, inoltre, sono mancati tre attori fondamentali, che hanno affidato la loro partecipazione ad un video: Putin (Russia), Xi Jinping (Cina) e Bin Salman (Arabia Saudita), togliendo molto del significato per il quale, quattordici anni fa, nacque questa riunione allargata. Senza Cina e Russia molto del conclamato multilateralismo degli accordi si perde. E, soprattutto, vengono a mancare quelle occasioni di incontri bilaterali che, al là dei comunicati, costruiscono il futuro geopolitico.
C’è però un aspetto positivo, molto positivo di questo summit. Anche se ottenuto a margine, fuori dai riflettori e tra i due blocchi che più si conoscono: America ed Europa. La progressiva cancellazione dei dazi su acciaio e alluminio.