Si è tenuto in Germania, nel castello di Elmau, il nuovo G7 sull’Ucraina e sulle nuove sanzioni da applicare nei confronti della Federazione Russa. I temi sul tavolo sono stati numerosi: dall’incrollabile sostegno a Kiev, ancora una volta marcato dai leader occidentali, per poi passare alle emergenze del gas e del petrolio importato da Mosca, fino ad arrivare alla crisi alimentare del grano, che sta colpendo in particolare modo i Paesi africani. Risultati: pochi o nulli per l’Italia, visto che nel documento finale sul sospirato “price cap” tanto desiderato da Draghi c’è solo un generico impegno a discuterne senza neppure mai citare il gas.
Il G7 di Elmau
I leader europei non sono solo “determinati a ridurre le entrate provenienti dalla Russia”, ma hanno manifestato la volontà di voler intervenire anche sull’oro del Cremlino. Nel 2021, le esportazioni auree di Putin hanno raggiunto il valore di quasi 18 miliardi di dollari, pari a 331 tonnellate, dietro solo alla superpotenza cinese. Il blocco dell’import in Ue potrà avvenire solo se si accerti che l’operazione abbia effetti negativi sulla “Russia e non rendere la vita più difficile a noi”, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
Michel sembra lanciare un segnale all’alleanza atlantica: sì al blocco dell’oro russo, ma solo se non porti a conseguenze nefaste all’Europa, come avvenuto con gas e petrolio. Ricordiamo che l’Italia, seppur abbia diminuito la propria dipendenza da Mosca dal 40 al 25 per cento, non riuscirà, entro quest’inverno, a raggiungere la totale indipendenza dalla Russia. Allo stesso tempo, ancor più critica è la situazione della Germania, la quale dipende da Putin ancora per oltre il 35 per cento delle sue importazioni di gas. Oppure, tanto per rimanere all’interno dei confini comunitari, si pensi all’Ungheria, per la quale le risorse russe costituiscono quasi il 90 per cento.
Ora, siamo sicuri che l’applicazione di ulteriori sanzioni possa convincere Putin a sedere al tavolo delle trattative? Il premier italiano, Mario Draghi, ne è convinto. Anzi, davanti ai leader del G7, ha specificato come “le sanzioni siano essenziali per riportare la Russia al tavolo dei negoziati. Il G7 è pronto a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”.
Le provocazioni dell’Occidente
Insomma, è iniziata la partita del “vince chi è più forte”. Anche se, in questo momento, la favorita non sembra senz’altro l’Unione Europea. La Casa Bianca preme per l’embargo totale sulle forniture russe, ma questa soluzione si tradurrebbe come un suicidio occidentale, soprattutto per la Germania di Scholz, come ben evidentemente spiegano le cifre. Sicuramente, anche la posizione economica della Russia non sprizza cifre esaltanti: solo nel 2022, il Pil di Mosca conoscerà una contrazione di quasi il 9 per cento, mentre l’inflazione, dopo aver superato il 20 per cento durante i primi mesi della guerra, si è attestata a poco più del 17 per cento. Ma un ulteriore pressione dell’Occidente rischierebbe di provocare un nuovo inasprimento della parte avversa, quella del Cremlino, come già avvenuto con il taglio delle forniture di Gazprom, mettendo in crisi Bruxelles.
Tra le altre misure concordate nel G7, si segnala l’investimento di 5 miliardi per la sicurezza alimentare globale – la metà della cifra verrà dagli Usa – oltre ad una nuova intimazione a sbloccare i porti ucraini, sempre per far fronte alla crisi del grano che sta tragicamente investendo l’Africa.
Oggi, l’alleanza atlantica si trova davanti ad un bivio: fino a quando potrà sostenere gli effetti economici nefasti che arrivano dalla guerra in Ucraina? Il problema non si pone per gli Stati Uniti, i quali possono vantare una totale indipendenza su greggio e gas, soprattutto grazie alla presenza delle innumerevoli risorse interne. Nonostante tutto, per l’Ue, un eventuale futura stretta della Russia si rileverebbe negativamente decisiva. Non solo per la politica, ma soprattutto per imprese, famiglie, cittadini. Insomma, per noi stessi.
Proprio per questo Draghi si era presentato al G7 con la speranza di convincere i partner a introdurre un tetto al prezzo delle materie prime, petrolio e gas in primis. Per quanto i media italiani e l’entourage del premier calchino la mano sui “passi avanti”, al momento di concreto non c’è nulla. Zero di zero. La dichiarazione finale del G7 infatti non cita esplicitamente il “price cap” sul gas ma fa solo generiche allusioni. I leader hanno dato mandato ai ministri dell’energia di valutare “urgentemente la fattibilità e l’efficienza” di eventuali tetti al prezzo delle materie prime. Ma niente di più. “Accogliamo con favore – si legge nel documento – la decisione della Commissione europea di sondare i partner internazionali per cercare i modi per ridurre i prezzi dell’energia, tra cui la possibilità di introdurre price cap temporanei”. E ancora: “Cercheremo soluzioni che consentano di ridurre i profitti russi dagli idocarburi”, ma anche sostenendo “la stabilità dei mercati energetici globali”. Direbbe una cantante: parole, parole, parole.
Poco, troppo poco, visto e considerato che neppure l’Ue pare intenzionata a trattare l’argomento almeno fino a ottobre.
Matteo Milanesi, 28 giugno 2022