Sostiene che la televisione non gli è mancata per niente. Però ci è tornato, più in fretta di quanto il suo addio alle telecamere avesse lasciato presagire (e forse sperare). Massimo Galli is back, direbbero gli inglesi, e l’ha fatto nel salotto di Bianca Berlinguer. Stesso format di sempre: collegato da remoto, il professore è apparso in giacca e cravatta, cuffie di ordinanza e solito allarmismo sulle varianti del coronavirus.
Galli ha calcato la mano sullo spauracchio della mutazione brasiliana, ha parlato dell’immunità di gregge che forse non vedremo mai e profetizzato una rincorsa “appresso” al virus che potrebbe durare anni. Nulla di nuovo sotto il sole. E poco importa se la sentenza del “rischio calcolato male” sulle riaperture di un mese fa si è poi rivelata una sonora cantonata. Poco importa se pure Locatelli ha messo una pietra tombale sulla “drammatica” ripartenza dei casi dopo la festa scudetto dell’Inter “come qualcuno aveva profetizzato”. Galli continua nel suo ruolo di profeta di sventura e sacerdote del chiusurismo.
Glielo ha fatto notare anche Bruno Vespa, che con poche parole ha messo nell’angolo il “Davigo dei virologi”. “Lei dice che non ci sono sani dopo il vaccino ma solo dei possibili contagiosi che la fanno franca”, ha ironizzato il giornalista. Il quale ha chiesto a Galli un “sorriso liberatorio” e magari anche lo sforzo di ammettere l’errore commesso: “Avevate detto che dopo le riaperture del 26 aprile saremmo morti tutti, invece siamo sopravvissuti e forse ce la caveremo”. Il professore però non sembra voler fare passi indietro. Anzi, rilancia. I casi sono pochi? Tutta fortuna. “Quando abbiamo riaperto qualche problemuccio ce lo potevamo ancora avere – ha detto – Io ho solo detto che c’erano dei margini di rischio. Ci è andata bene”. Forse non ne sentivamo la mancanza, ma una cosa è certa: in due settimane Galli non è cambiato.